Sex Pistols feat. Frank Carter @ AMA Music Festival, Bassano del Grappa (Vi) – recap
Il mal desiderato compito di scrivere una recensione sul concerto dei Sex Pistols, di domenica sera scorso…
…quando hanno chiuso da headliner l’AMA Music Festival, lascia un retrogusto da “chi cazzo me l’ha fatto fare?” per una serie di ragioni, in cima alla lista direi l’attacco incrociato, che boomer e dissidenti, hanno riservato alla (chiamiamola) Réunion più chiacchierata dell’estate!
Nell’immaginario collettivo, non esiste altra band che possa vantare al suo interno, le due figure universalmente più riconoscibili dell’intero movimento punk: l’icona per eccellenza ancora in vita, Johnny Rotten – e quella defunta, Sid Vicious. Dissociare questi due elementi dal moniker Sex Pistols è un’operazione ardua e tortuosa, che va avanti più o meno dal 1979 anno d’uscita di ‘The Great Rock’n’Roll Swindle’. Quello che ci è dato sapere è che l’auto proclamato leader maximo Johnny Lydon, non vuole più saperne di questa band e conseguentemente di tutte le attività ad essa legate, che siano live show, mostre fotografiche, biopic o serie tv di dubbio gusto.
Quello che ci è dato sapere inoltre, è che all’interno dei Pistols vige una sorta di “democrazia britannica”, per la quale a decidere le sorti della band debba essere una maggioranza; per farla breve potremmo dividere tutta questa faccenda in due squadre, Lydon/Rotten da una parte, Jones, Cook, Matlock, gli eredi di Sid Vicious e la Corte Di Londra dall’altra. Se come me siete riusciti a skippare questo lungo e palloso preambolo e a conquistarvi un posto sotto al palco, direi che ne è valsa la pena.
Piccole amabili sorprese, non c’era Johnny Rotten è vero, ma l’idea di Steve Jones di reclutare il ben più giovane Frank Carter (tatuato frontman inglese, già leader di band quali Gallows, Pure Love e Rattlesnakes) si sia rivelata giusta, non fosse altro per quella british pronunciation, che è basilare se vuoi rendere credibili i pezzi che hanno composto ‘Never Mind The Bollocks’.
I tre hooligans, Steve Jones, Paul Cook e Glen Matlock, spalleggiati dal novizio Carter, cominciano così a scaldare le vibes della serata, con una quaterna di pezzi warm up, di tutto rispetto, ad accendere la miccia cronologicamente: ‘Holydays In The Sun’, ‘Seventeen’, ‘New York’ e ‘Pretty Vacant’.
La deflagrazione dell’ordigno arriverà dopo una ventina di minuti, quando Carter scende dal palco con asta del microfono in mano, salta la transenna e si posiziona al centro del pit in mezzo alla gente, e butta fuori due pezzi che restano lo spaccato più incisivo di tutta la serata – ‘Bodies’ e ‘Did You No Wrong’- apoteosi! Richiamato sul palco dai tre signori di mezza età, che nel frattempo si stavano godendo la scena, e ristabilite le gerarchie, il concerto procede con ‘Liar’ e ‘God Save The Queen’, contestualizzata e modificata in ‘God Save The King’.
Successivamente ‘Submission’, ‘Satellite’, ‘No Feelings’ e la caldissima ‘E.M.I’, accompagnano lo show verso la conclusione e alla pennata finale di ‘Problems’ la band lascia il palco per qualche minuto, rimane giusto il tempo per l’ultimo anthem, una delle canzoni simbolo dell’intero movimento punk, il testo che ha cambiato una generazione, ‘Anarchy In The U.K.’.
Non trovano spazio le classiche ‘No Fun’, ‘Stepping Stone’ e ‘Belsen Was A Gas’, che comunque il quartetto originale aveva proposto in scaletta fino al tour del 2008. Personalmente, vista la virata presa dai Pistols, col timone della band oramai nelle mani di Steve Jones, mi avrebbe fatto piacere qualche ripescaggio che Johnny Rotten non canterebbe manco sotto tortura: ‘Silly Thing’, ‘Lonely Boy’ e perché no? ‘No One Is Innocent’?
Per come era iniziata tutta questa faccenda, per l’età anagrafica dei tre veterani non esattamente da Liceo, per le palle che ha avuto Frank Carter a presentarsi lì, nelle vesti di… ribaltando i vaffanculo con gli applausi, direi che la pagnotta se la sono portata a casa, riproporre un album manifesto come ‘Never Mind The Bollocks’, 47 anni dopo, in quattro, senza doppia chitarra, senza effetti e praticamente senza assistenti di palco, la dice lunga sulla concretezza della band, che in fondo ha sempre agito in questo modo, con Rotten o senza, con Sid Vicious o senza… con buona pace di noi mortali che son quarant’anni che ci facciamo le pippe con la grande truffa del rock’n’roll!
Volevate la truffa? Eccovela servita.
(Txt Mat The Cat – Pics Arianna Carotta)
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