Sect ‘No Cure For Death’
Review Overview
8.5
8.5SECT
‘No Cure For Death’-CD
(Southern Lord)
8.5/10
Non c’è niente che possa curare la morte, che sia in grado di invertire un percorso distruttivo intrapreso dall’umanità, fatto di ingiustizia sociale, politiche spregiudicate e devastazione dell’ecosistema planetario. È così che nasce questa setta deviata, è in questo modo che sorge ‘No Cure For Death’ dei Sect, come una voce di dissenso che è quasi una chiamata alle armi. Chiusi nella loro nicchia vegan straight-edge, i cinque non si illudono di poter cambiare la situazione globale, ma come una moderna Cassandra si intendono di sbattere in faccia a più persone possibili le proprie convinzioni, consapevoli che dai più saranno puntualmente ignorate. Il primo atto di questa superband fu l’eponimo e autoprodotto album del 2016, ma adesso i cinque veterani Chris Colohan (Cursed), James Chang (ex-Catharsis), Andy Hurley (Fall Out Boy, ma non solo!), Scott Crouse e Ian Edwards (Earth Crisis) si sono riuniti insieme a Kurt Ballou dei Converge, in veste di produttore, e alla Southern Lord Records per dare vita alla prima creazione di stampo professionale. Tutte queste garanzie non tradiscono in nessuno dei diciassette minuti dell’intero album, diviso in dieci tracce e spinto furiosamente da una rabbia incontenibile. Le cose vengono messe subito in chiaro dalla opening track ‘Open Grave’, dove feedback che sembrano provenire dal bayou melmoso (habitat naturale della scena di NOLA), vengono rotti da grindate e cavalcate hardcore, nonché da breakdown da manuale. Blast beat impietosi si susseguono in ‘Day For Night’ (scelta per il video di lancio) e in ‘Crocodile Prayers’, senza però mai rinunciare alla presenza di parti cadenzate che farebbero piegare il collo anche a Maurizio Costanzo. Gli unici due pezzi che allentano la frenesia dei BPM sono ‘Reality’s Wake’ e l’ultima ‘Avoidance Ritual’, i quali si distendono su tempi superiori ai due e tre minuti rispettivamente. All’opposto, ‘Born Razed’ sintetizza in meno di un minuto le intenzioni spaccaossa della band, racchiuse con coerenza stilistica in tutti i brevi capitoli dell’album, saldati in una sorta di continuità in fase di produzione, come a sottolineare l’importanza del senso generale più che della ricerca del pezzo perfetto. Non sorprende certo la successione dei pattern stilistici (obbligati e prevedibili), ma piuttosto l’intenzione così diretta, travolgente ed estranea a fronzoli unita ad un’ingegneria del sound che esalta i contenuti e che rende ‘No Cure For Death’ uno dei dischi da conservare nella capsula del tempo dell’anno 2017, con la speranza che chi l’aprirà non vi troverà parole sprecate al vento. Se il suono è infatti importante per il medium in questione, le parole sono ciò che più sta a cuore ai Sect: «Il mondo è in una situazione precaria, ora più che mai è importante avere una voce e fare ciò che si può per dimostrare con forza che esiste chi si oppone a certe politiche», afferma il chitarrista James Chang, accompagnando le liriche fortemente politicizzate inserite ovunque nell’album e che sembrano degli sputi in faccia contro il capitalismo sfrenato, il sistema industriale e carcerario, le lobby dei farmaci, l’abuso della tecnologia e la polarizzazione dei media: «Swapped out your chains for bars / Emancipation was bad for business / Return the order, recoup the losses»; «Crocodile prayers / Carried to full term and beyond».
‘No Cure For Death’ è un disco esaltante, potentissimo, portatore di messaggi che ci mettono di fronte a interrogativi, anche riguardanti il mercato musicale stesso: come può un album così essere in vendita su Amazon e negli store delle grandi multinazionali? Diffondere il più possibile il messaggio è più importante del messaggio stesso?
(Francesco Banci)
Ph. Chuck Johnson
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