Ruin ‘He-Ho’ / ‘Fiat Flux’
Review Overview
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‘He-Ho’/‘Fiat Flux’-DOUBLE LP
(Southern Lord)
9/10
I gloriosi anni del punk hardcore from 80s tornano in vita con la Southern Lord che decide di ristampare a distanza di quasi trent’anni una band che si è ribellata ai prototipi della famosa “American Hardcore”, dando vita a due capolavori: ‘He-Ho’ e ‘Fiat Flux’. Il tutto con un un doppio vinile. In questo senso la Southern Lord non ristampa solo degli album, ma mette in luce i parametri sbagliati delle scene musicali ghettizzanti. I Ruin sono decisamente troppo sconosciuti in confronto all’enorme merito di essere stati tra le band seminali del noise rock, esploso negli anni novanta, e precursori di un garage punk lo-fi che ha segnato tutte le generazioni successive. Inspiegabile come il quintetto di Philadelphia sia stato circoscritto all’interno del circuito hardcore, il quale infatti ha rigettato nel mezzo del nulla una delle poche band che spiccava per un sound intriso di un’identità propria. Di certo le coordinate di spazio e tempo hanno permesso di innescare quella dinamica per cui se sei in un dato posto in un dato momento diventi automaticamente parte di una scena. Che tu suoni la samba o il rock n roll non importa. Sarai dentro quella scena. Per sempre. Nonostante quella scena abbia fatto di te un outsider, per il semplice motivo di aver rifiutato divise e slogan. Questo è accaduto ai Ruin a Philadelphia negli anni ottanta. Nel loro sound c’era qualsiasi espressione sperimentale underground che precorresse e percorresse i tempi. Noise, garage, no-wave, post-punk. L’album d’esordio uscì nel 1984, ‘He-Ho’, ed era quanto di più ante litteram si potesse ascoltare in un contesto del genere. Così come potevano esserlo i Circle Jerks a Los Angeles quando pubblicarono ‘Group Sex’ nel 1980. Il secondo album uscito nel 1986, ‘Fiat Lux’, è un capolavoro post-punk, death rock, influenzato tanto dai Christian Death di Rozz Williams quanto dalle cavalcate dei primi Wipers. Il tutto militaresco e malinconico allo stesso tempo, dove chitarre straziate interrompono i ritmi incalzanti che si avvicinano decisamente più all’anarcho punk che all’hardcore classico. La storia dei Ruin è simbolica e forse ci insegna anche qualcosa: le etichette, i recinti, i ghetti, sono sempre troppo scorretti per dar vita a qualcosa che spicchi per un’anima che vive, creativamente parlando, di vita propria. Dietro quell’anima ci sarà sempre un circo pronto a rincorrerla per rivendicarla e riportarla in gabbia. Ma quando nella gabbia non ci vuoi rimanere finisci come i Ruin, senza una scena che ti segue e senza più la spinta di fare musica. I Ruin, non quelli hardcore, ma quelli post-punk, new wave, d-beat, noise, proto-punk, glam, vengono finalmente riportati in vita dalla Southern Lord e se in tutti questi anni avete perso di vista questi due capolavori, ringraziate la label che regna sovrana sull’oscurità underground, per darvi di nuovo la possibilità di ascoltare una band che è stata grande ma, sfortunatamente ed immeritatamente, poco gloriosa.
(Valentina Vagnoni)
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