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Salad Days Magazine | December 22, 2024

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Real Swinger interview

Real Swinger interview
Salad Days

Se mi parlate di punk rock veloce, con i cori nel DNA e non prettamente ramonesiano, passerò la vita a dirvi di ascoltare i Real Swinger, originariamente di Napoli e poi di base a Roma, che nel 1997 esordivano con un self titled F A N T A S T I C O. Caso più unico che raro, quel titolo usciva direttamente negli Stati Uniti per la V.M.L. di Joey Vindictive che come prima cosa prese la band e le fece fare un paio di settimane di tour oltreoceano. I Real Swinger hanno continuato a esistere per circa altri due decenni e tre Lp, fino alla loro recente trasformazione in No Spoiler, mantenendo Marco (chitarrista e cantante) come punto focale. Dopo 23 anni, reclutati Marco Montesano alla batteria e Tommaso Tonioni al basso (insieme nei Killtime), Marco ha registrato di nuovo il proprio esordio. Sfizio? Incoscienza? Non importa. Il disco è bellissimo ancora adesso, anche con la track list rivoluzionata e un approccio più maturo alla registrazione. Della versione originale, Marco dice “…avevo in mente qualcosa che come impatto sonoro fosse a metà tra ‘New Day Rising’ degli Husker Du e ‘Destroy-Oh-Boy’ dei New Bomb Turks (come resa, non che i nostri pezzi fossero all’altezza di quei dischi)”, io invece vi dico che il risultato si assesta tra Descendents e le migliori cose Lookout (dai primi Green Day alle produzioni di metà anni 90) e che la loro accoppiata con gli Scared Of Chaka in alcune date del 1998 resta insuperata a distanza di tempo. Nove domande a Marco per raccontare passato, presente e futuro di Real Swinger e No Spolier.

SD: Nel 1997 tu e i Real Swinger cenate con Ben Weasel a casa sua, subito prima del vostro tour statunitense con gli Squirtgun. Stando al vostro tour report su Bassa Fedeltà, Ben Weasel, commentando un disco italiano nella sua collezione, afferma “l’ho sentito una volta ma fa schifo”. Quel titolo è rimasto secretato per 23 anni. Sei pronto a dirci di chi era quel disco?
M: Si, direi che è venuto il momento di rimuovere gli omissis ma è necessaria una premessa: io ho incontrato Ben Weasel solo due volte. In quella occasione e quando siamo tornati a Chicago dopo un paio di giorni per fare il concerto, per cui non posso dire di conoscerlo, ma avendo letto le sue columns e poi i suoi libri (e libri di altri in cui si parla anche di lui) e aver parlato con persone che lo hanno incrociato/conosciuto mi sono fatto l’idea che spesso abbia un atteggiamento volutamente “provocatorio”, per spiazzare l’interlocutore. Dire delle cose per vedere l’effetto che fa. Creare l’anticlimax… lo shock value! Infatti, dopo quella sua risposta la conversazione cambiò repentinamente anche perché iniziò a frugare in uno scatolone per darci le magliette avanzate dal tour dei Riverdales e del tour cancellato degli Screeching Weasel per cui già non pensavo più al disco… che comunque era ‘Bar’ dei Derozer.

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SD: ‘A Tape To America’ (che recita “got no clubs, got no scene, got no audience… so I’m sending a tape to America”) era una fedele rappresentazione della vostra vita in quel momento?
M: Molti dei testi del primo disco nascono da chiacchiere, elucubrazioni, analisi sociologiche senza basi teoriche e discettazioni musicali o potremmo definirli semplicemente deliri miei e di Paolo, il primo bassista e co-fondatore (e stratega cultural-attitudinale) del gruppo. Lui oltre alla passione per il punk era un fanatico del garage e del budget-rock, io invece avevo un retroterra più HC ma se ci guardavamo intorno c’erano solo le posse. Ma non una eh… novantanove!! Avevamo perso la sala prove perché la ragazza del chitarrista non voleva che lui perdesse tempo con noi, locali che facessero concerti interessanti erano praticamente inesistenti e anche quando iniziammo a fare noi delle serate non rientravamo nel punk genere Fat Wreck, Epitaph che un minimo di seguito ce l’aveva.

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SD: L’uscita su una label statunitense, il tour appena menzionato, il registrare un disco in Indiana erano inusuali allora e anche oggi. Eravate lungimiranti nelle public relation o vi siete giocati la fortuna di una vita quell’anno?
M: È indubbio che siamo partiti col botto! Qualsiasi cosa dopo quei primi due anni sarebbe stata inferiore al confronto. Più che public relation, in quel periodo era normale mandare in giro demotape e li abbiamo mandati non solo in America, ma anche in Italia (Vacation House, McGuffin e altre che ora non ricordo). Joey Vindictive ci disse che per promuovere il disco sarebbe stato utile fare un tour. Nella sua ottica una cosa normale che qualsiasi gruppo in America faceva regolarmente, e mi diede il numero di Mass Giorgini (bassista degli Squirtgun, proprietario dei Sonic Iguana Studios a Lafayette, produttore di Rise Against, Alkaline Trio e molti altri – NDA). Mass da questo punto di vista fu impagabile, ci sentimmo praticamente una sola volta al telefono e poi si occupò di tutto mettendoci a disposizione il backline e la casa. Il fatto che sia legatissimo alle sue radici italiane ha chiaramente influito molto. Fossimo stati un gruppo spagnolo, magari le cose sarebbero andate in maniera diversa. Però devo dire che anche negli anni successivi mi sono capitate belle cose e non solo musicalmente!

SD: Cosa ascoltavate nel periodo di uscita del disco? In parallelo, questi gruppi/dischi ti sembra che siano invecchiati bene o male?
M: A questa domanda ammetto che non so risponderti. Da un lato molte delle cose che ascoltavo erano di anni precedenti, per cui già stagionate. Dall’altro, iniziando a prendere sempre dischi nuovi, rimaneva poco tempo per risentire i dischi degli anni precedenti. L’unica certezza è che pochissimi di quei gruppi esistono ancora!

SD: L’invecchiamento del vostro self titled invece l’hai abilmente schivato con questa riedizione. Come ti è venuto in mente di rifare (quasi) tutto da capo?
M: Ho voluto rifarlo da capo perché nella prima registrazione ci sono tanti errori, di impostazione principalmente, dovuti al fatto che sapevamo poco e niente di come tecnicamente si registra un disco e si lavora in sala. Facemmo tutto in pochissimo tempo suonando tutti i pezzi a una velocità pazzesca, ci sono dei passaggi in cui si sente che mi manca il fiato! Dal vivo suonavamo più veloce rispetto a quando facevamo i pezzi in sala prove. Ma in sala di registrazione li suonammo più veloci di come li suonavamo dal vivo! Insomma, a distanza di tempo, quelle canzoni meritavano una seconda possibilità.

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SD: Fast forward al 2019 ed esce ‘Please!’ dei No Spoiler, diverso il nome, diverse le persone e diverso il suono. Mi rendo conto di non sapere come sia avvenuta la transizione da Real Swinger a No Spoiler. Riesci a riassumere questo decennio di stacco?
M: I Real Swinger hanno avuto due formazioni “storiche”. Quella dei primi due dischi con Walter e Luca a Napoli e quella con Stefano e Antonio a Roma con cui abbiamo fatto i due dischi successivi. A queste ne devi aggiungere altre ancora, di durata più o meno breve. Dato che mi piace l’idea di gruppo e non quella di avere solo delle persone che suonino con me, quando i cambi di line up hanno iniziato a essere tanti ho iniziato a proporre di cambiare il nome al gruppo. Con l’attuale formazione abbiamo iniziato a suonare nel 2017 facendo concerti sempre a nome Real Swinger, e quando abbiamo iniziato a registrare il disco pensavamo di usare ancora quel nome. Poi mentre eravamo già alla fine del missaggio ragionando sul titolo da dare al disco, abbiamo trovato anche il nuovo nome del gruppo. L’approccio non è cambiato molto. Il suono sì, ma solo perché il disco è stato registrato meglio di qualsiasi cosa io avessi fatto prima e su alcuni pezzi ci siamo anche scatenati con gli arrangiamenti e su questo aspetto sono stati fondamentali Sterbus e Gianka sia nelle idee proposte che nel riuscire poi a concretizzarle! Nel disco precedente c’erano un pezzo country, uno strumentale, un pezzo power pop, uno swingato, una ballad, un pezzo garage. In quello dei No Spoiler c’è un pezzo glam, uno bubblegum, uno alla Phil Spector, uno più hard rock. Alla fine, ci interessa più fare buone canzoni che canzoni dello stesso genere.

SD: Parlando dei No Spoiler e del loro Lp in uno scambio di qualche mese fa abbiamo menzionato i Giuda, Marc Bolan, i Cramps e il doo wop. Aggiungo “punk rock” e la recensione è fatta o ti potrebbe piacere sottolineare delle altre sfumature di questo gruppo?
M: Più che di gruppi, in molti casi dovrei citarti singole canzoni. Ti faccio un esempio: Nirvana e Joy Division. Tu potresti pensare che hanno in comune il suicidio del cantante ma ci sono due loro canzoni, nello specifico ‘Mr Moustache’ e ‘Digital’ che si basano su un riff di chitarra di 3 e 4 note molto semplici ma di impatto. Suonando quel riff non riuscivo mai a cantarci sopra e in realtà non lo fanno neanche loro. Curtis non suona la chitarra e Kobain nella strofa non suona quel riff che viene portato avanti solo da Novoselic. Io mi sono inventato una versione dove riuscivo a cantarci ed è venuta fuori ‘Closer’. Aggiungici che il testo si ispira a quelli del primo disco dei Knack che grondano letteralmente sesso e hai la genesi del pezzo. Potrei fare la stessa analisi con tutti i pezzi del disco ma temo che annoierei chi ci legge. Poi, c’è sempre un gap tra quello che hai in mente tu che scrivi e quello che viene percepito da chi ascolta, per cui le mie sfumature potrebbero essere completamente diverse dalle percezioni degli altri. Il pezzo alla Phil Spector che ti citavo prima…, ci ha scritto un tipo a cui la canzone piaceva moltissimo perché gli ricordava gli Status Quo che sono il suo gruppo preferito. Magari avevano canzoni di quel tipo ma non sono un gruppo che posso dire di conoscere o che mi abbia influenzato, però lui ce li vedeva… Seguirà dibattito “Le 50 Sfumature Dei No Spoiler Vs Public Perception”.

SD: ‘Please!’ contiene anche quella che se ben ricordo è la tua prima canzone in italiano. Al di là che l’anno in corso non ti ha dato molte occasioni di cantarla dal vivo, sai già se ti farà piacere ripetere l’esperimento?
M: Si, è la prima canzone con testo in italiano per un mio disco. Nasce dopo aver sentito “Il sorprendente album d’esordio de I Cani” che secondo me è uno dei dischi più importanti usciti in Italia in questo decennio per la lucidità con la quale viene descritta una generazione di 16-20enni. Io ho un orizzonte di frequentazioni e conoscenze anagraficamente diverso per cui le abitudini/manie/personaggi di cui parlo sono diverse e il consiglio del ritornello “invoca satana” è chiaramente una iperbole grottesca. Cioè se sei passato dalla cristallo terapia all’analisi collettiva e poi da Osho a influencer su Instagram prova anche ad invocare il maligno, magari trovi pace. Comunque, considerato che mi hai confessato di leggere anche tu assiduamente Brezsny (mi piace giustificare gli alti e bassi della vita con Brezsny! – NDA), qualcosa di vero nel testo c’è! Per il futuro non so. Per ora le prime 4 canzoni per il prossimo disco sono in inglese.

SD: Solo se non hai risposto alla primissima domanda, almeno un episodio inedito di quel tour con gli Squirtgun possiamo sdoganarlo? Ormai solo la presenza di figli (che non hai) possono trattenerti dal raccontare tutto!
M: Potrei anche averceli dei figli, magari proprio grazie a qualche episodio inedito del tour!!! Mater semper certa est…

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