Parkway Drive ‘Ire’
Review Overview
6.5
6.5PARKWAY DRIVE
‘Ire’–CD
(Epitaph)
6.5/10
Epitaph sta per pubblicare il quinto album dei Parkway Drive, band australiana al decimo anno di attività, che all’inizio della carriera riuscì a conquistare una buona reputazione grazie ad un metalcore molto spostato verso il metal. Successivamente il gruppo divenne idolo della frangia più pacchianamente tatuata della scena, affogando nel calderone di un genere inflazionato e modaiolo. ‘Ire’ rischia di suonare come “just another metalcore album”, ma si capisce fin dalla canzone iniziale, ‘Destroyer’, che questo nuovo disco merita quantomeno uno studio più approfondito. BPM assai bassi rispetto alla media dei Parkway Drive, ritmiche anni’90, armonizzazioni che rimandano al classic metal: questo è solo l’inizio del percorso di ‘Ire’, nel quale la band ricercherà il nuovo tornando indietro nel tempo. La traccia successiva, ‘Dying To Believe’, è certamente più tosta, con alcune parti death e rimandi a gruppi come Lamb Of God e Slayer, non senza l’inserimento di pesanti ed immancabili breakdown. Segue il singolo ‘Vice Grip’, quasi bonjoviano nei suoi ritmi rilassati e fresconi ed i sing along nei chorus: a questo punto l’interpretazione dell’album si fa difficile, ma una cosa è certa, qualcosa è cambiato. In ‘Fractures’ e ‘Vicious’ i Parkway Drive si lanciano di nuovo in citazioni del metal più classico, con tanto di cavalcate e triplette alla Iron Maiden, oltre a barocchismi della chitarra solista; in ‘Bottom Feeder’ e ‘The Sound Of Violence’ invece emerge la volontà di riprendere lo stile anni’00 con tanto di influenze numetal, arrivando a ricordare decisamente gli Slipknot: per la precisione queste canzoni suonano come avrebbero dovuto suonare oggi gli Slipknot per rimanere una band decente. A metà album c’è una canzone ancora più inattesa, ‘Writings On The Wall’, in cui spoken word lyrics poggiano su archi e pianoforte. Probabilmente il pezzo migliore è ‘Dedicated’, che suona potente ed energico, in stile DevilDriver; invece il pezzo di chiusura, ‘Deathless Song’ è una ballad metal messa lì proprio come un cliché. Giunto alla fine di ‘Ire’, la nota positiva è di non aver ascoltato il solito disco metalcore, che magari sarebbe stato accettabile dieci anni prima, ma sicuramente neppure un album travolgente. La volontà di cambiamento è senza dubbio da apprezzare, è anche un’operazione portata avanti intelligentemente, senza snaturare o rinnegare il proprio percorso, ma ritmi lenti, riff troppo classici e alcune pacchianate (facilmente rintracciabili nella descrizione precedente) penalizzano fortemente l’album. Il livello di energia non raggiunge i picchi attesi, proprio perché probabilmente la band vuole mostrarsi più matura che muscolare, ma queste undici tracce suonano troppo come modernariato della musica, senza un’anima ben definita.
(Francesco Banci)
Submit a Comment