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Salad Days Magazine | March 28, 2025

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Naresh Ran + Petrolio @ Baraccio (CT) – full interview

Naresh Ran + Petrolio @ Baraccio (CT) – full interview
Salad Days

Graditissima tappa al Baraccio di Catania, location che perdura nella ricerca di eccellenze musicali nostrane e internazionali a molti poco conosciute, il tour di Naresh Ran (colui che sta dietro alla label Dio Drone e chitarrista/cantante degli Hate & Merda) insieme a Petrolio (ex Infection Code) è occasione per entrambi di presentare le loro ultime fatiche: ‘Præsens’ (Toten Schwan Records) per Naresh Ran e ‘Sangue’ (Dio Drone) per Petrolio. Il doppio live set verterà in buona parte su queste due nuove uscite.

Lo start lo dà Naresh Ran alle 23:00: fuori dal Baraccio imperversa la pioggia, dentro invece, molte anime stipate tra loro restano intrappolate tra le maglie ambient/noise di ‘Præsens’, il cupo paesaggio sonoro sprigionato è una bolla da cui non ci si riesce a liberare se non (come sempre…) cedendo pezzi, sogni e pensieri, così da poter fuggire dai propri demoni. Nel rituale onirico che Naresh Ran ha preparato, la forza, con cui si stabilisce un varco, è afferrare il proprio rancore, la propria rabbia e le proprie paure e affrontarle di petto, ma con quale conseguenza? Le tracce si susseguono tra martirii sonori e intimità esposte, fino alla fine nella raggelante richiesta di ‘Lasciami Andare’, nel disperato bisogno di luce o oscurità.

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SD: Sembra tu non abbia pace anzi, diciamo che colui che presenzia in ‘Præsens’ abbia tormento anche se a volte sembra che cerchi una via meditativa, un respiro. Cosa vuole o cos’ha o dove vorrebbe trovarsi il protagonista di ‘Præsens’?
NR: Il protagonista sono indubbiamente io non è un personaggio. Penso sia il lavoro più intimo che, arrogantemente, credo di aver fatto. E’ il primo lavoro delle mie creazioni musicali al quale sono arrivato alle registrazioni estremamente sicuro di quello che volevo e questo penso sia frutto di una consapevolezza non tanto musicale ma quanto d’intenti: ‘Præsens’ deriva da tutta una serie di pensieri, domande e risposte che mi sono posto per diverso tempo e che hanno portato allo sviluppo di questo concept. L’idea di base è che i ricordi e le brutte esperienze ci perseguitano e ci possiedono esattamente come gli spettri infestano le case o i demoni possiedono i bambini nei film, e il processo di liberazione da queste cose è un esorcismo che noi facciamo tutti i giorni in tantissime cose, credo che la ritualità stia in un sacco di piccoli gesti, piccoli comportamenti che noi ci portiamo dentro ogni giorno e anche se non ce ne rendiamo conto è un processo che noi mettiamo in atto per riuscire a liberarci dal male, tanto per citare una frase cara alla multinazionale più grande del pianeta. Cosa vuole il protagonista di ‘Præsens’?, ecco, questa è una questione ambivalente, quand’ero bambino, alle elementari ci fecero leggere ‘Moby Dick’, banalmente viene interpretato come la lotta tra l’uomo e la natura e poi la natura vince sempre, io, però, non c’ho mai visto questo veramente, ho sempre pensato che il capitano Achab aveva bisogno di inseguire Moby Dick perché altrimenti, perduta la gamba lui sarebbe rimasto a casa aspettando di guarire, invece questo rancore, questa paura, questa rabbia che lui aveva dentro l’ha tenuto in piedi tutta la sua vita, tant’è che quando lui finalmente uccide la balena, muoiono insieme. In questo senso la liberazione che il protagonista di ‘Præsens’ cerca non è catartica, non c’è salvezza, perché l’essere umano ha l’abitudine anche alle peggiori aberrazioni e paradossalmente quando riusciamo a liberarci di un qualcosa che c’è stato accanto tutta la vita, anche di negativo, siamo più vuoti di prima perché ci manca quel punto di appoggio anche nello stare male, questo disco, non è un inno allo stare male, assolutamente, anzi, è una ricerca disperata di liberazione, ma arriva davvero questa liberazione? Quando sopravvivi al tuo malessere sei veramente tu il sopravvissuto?

SD: L’ambient (e)/sound che avvolge/circonda ‘Præsens’ è l’unico luogo/mondo possibile?
NR: Probabilmente sì. La cosa strana è che sono consapevole che il disco suoni molto ambient e atmosferico, io però l’ho vissuto come disco quasi hardcore quando l’ho registrato, perché l’ho provato in prima persona e lo sento un disco molto forte, molto violento, anche nei suoi momenti più rarefatti. E’ un percorso a tappe in cui ci si fronteggia tra il protagonista, in questo caso io, e il demone o demoni o, come vogliamo chiamarli, e alla fine ci si patteggia sempre, non si vince, non c’è un vero vincitore e infatti l’ultima traccia si chiama ‘Lasciami Andare’ perché sono io che sto chiedendo al demone di lasciarmi libero.

SD: Il dolore e l’afflizione nelle tracce di ‘Præsens’ sono palpabili, ma il precorso di attraversamento porta verso la luce o verso l’oscurità?
NR: Dovremmo capire cosa vuol dire luce o cosa vuol dire oscurità. Il desiderio sarebbe di andare verso una sorta di luce, qualunque essa sia, l’insegnamento più bello che penso mia madre mi abbia dato è di avere fiducia anche della mia oscurità. Per questo mi chiedo, la luce che tanto noi cerchiamo e agogniamo è veramente una luce? Oppure è qualcosa che ci rende ciechi, l’importante in ogni caso che sia una catarsi personale.

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SD: Un libro?
NR: L’ho già citato, ‘Moby Dick’.

SD: Un film?
NR: Troppi. Ma dico ‘The Prestige’ di Cristopher Nolan. Anche qui la trama sembra quello che non è, secondo me in realtà non è la rivalità tra i due maghi che sfocia nella classica lotta intestina e interpersonale ma è una diversa ricerca: andare oltre il tangibile alla ricerca di un qualcosa in più. Che poi è quello che fanno tutti quelli che suonano o che si fa in qualunque forma d’arte, cercare qualcosa di più di quello che fisicamente si può toccare.

SD: Un disco?
NR: Come faccio a sceglierne uno… ogni giorno potrei darti una risposta diversa… oggi ti potrei citare Tim Hecker, un qualsiasi suo album, oppure qualcosa di più oscuro… ci penso un attimo e te lo dico alla fine…

SD: Un cibo?
NR: Adoro il cibo asiatico. Mescola insieme un sacco di cose ma sono un fan anche della cucina nostra.

SD: Un Dio?
NR: Nessuno, anzi Dio Drone ahahahah…

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SD: Una Nazione?
NR: L’unica. Il nostro cosmo. Sai cos’è, io penso che l’uomo sia ossessionato da questa cosa del controllo e non riesce ad accettare che il cosmo inteso come tutto l’insieme, ehm… sto per iniziare un discorso “fricchettonissimo” e me ne scuso, però lo penso davvero… dicevo, l’uomo non riesce ad accettare il cosmo, di capire la sua entità di come fisicamente funziona o del suo perfetto equilibrio, quindi abbiamo questa terribile abitudine di suddividere tutto in piccoli pezzi per avere l’illusione di poter controllare le cose, quindi: galassie, sistemi, pianeti, nazioni, città, paesi, uomini, donne, gay, etero, che palle, che palle! E’ un’illusione! Come suddividere il tempo non ha un vero senso, però ci dà l’illusione del controllo. Dico questo, che poi non è né mitologico né un discorso religioso: il cosmo ha un suo equilibrio perfetto e armonioso e ci invia segnali quotidiani di questo equilibrio, pensiamo alle forme geometriche si vedono nello spazio riprodotte sulla terra, le spirali delle forme delle galassie che si riproducono sulle conchiglie, la matematica come funziona qui, funziona nello spazio, sono queste sorta di segni che ci dicono: state calmi, va tutto bene, va tutto bene così com’è, invece noi ci ossessioniamo nel voler controllare le stronzate… alla fine i miei genitori fricchettoni mi hanno inculcato qualcosa, ci sono riusciti!! Ahahah…

SD: Un uomo/donna?
NR: …non lo so, sono differenze che alla fine nel 2025 è solo biologia. Ecco adesso che siamo alla fine, tiro fuori il disco che avevamo lasciato in sospeso… ‘Demon Box’ dei Motorpsycho, uno dei dischi che mi ha cambiato la vita, che sicuramente mi ha segnato di più, li vidi la prima volta quando avevo 13 anni alla Festa Dell’Unità a Firenze, non avevo mai visto niente di così forte.

SD: Domanda bonus: Come mai questo tour con Petrolio?
NR: Petrolio è un amico, lo stimo come persona e musicalmente, tanto! Ho prodotto con Dio Drone diverse cose sue e credo sia uno dei musicisti più interessanti del panorama elettronico industrial che abbiamo in Italia e credo che il mio fare musica, oltre che vocazione sia una scelta di vita e la scelta di vita è anche quella di circondarci di persone davvero interessanti che ti fanno sentire che hai un posto sul pianeta ed Enrico è una di quelle persone che mi dà questa sensazione!

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Nel live presentato da Petrolio i visual usati fanno il pari con la proposta musicale, i toni drammatici ed efferati si stemperano insieme a toni melliflui ma difficilmente assimilabili, l’idea è piena e penetrante, sembra di assistere a una tortura senza però aver voglia di smettere di guardare; un’altra idea è sicuramente la scomposizione del corpo che viene pazientemente diviso con affilate bordate noise rendendo il tutto, lontano dalla logica, con una considerevole perdita di forma. L’ultima idea è quella della solitudine sconfinata che, pur nell’assordante rumore, crea un vuoto ancestrale prossimo al nulla. Lasciano i segni addosso queste due performance, ne risente il corpo e ne risente lo spirito.

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(Testo e fotografie di Giuseppe Picciotto x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

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