Seditius + Youngblood – La Sassaiola Micro Tour!
L’uomo nasce nomade. Prima dei confini e delle città, prima dei poveri e dei ricchi, prima di tutto quanto, nel bene o nel male l’uomo era solo una cosa: era nomade.
Salgo sul furgone assieme alla mia band ed agli Young Blood per il weekend Genova-Marsiglia-Seregno con un nuovo blocco di appunti ancora vergine, una copia della storia di Long John Silver e questo pensiero in testa: l’uomo è un animale nomade. Nell’anno domini 2014, non penso ci sia ancora gente interessata a leggere che in tour passi un sacco di tempo in furgone, ti sbronzi, suoni, dormi in posti a caso, fai ancora un sacco di km in furgone, monti/smonti il palco, fai festa, provi diversi tipi di droghe, ogni tanto scopi, fai altre ore in furgone e blah blah blah. Credo che tutte queste banalità siano ormai chiare anche al più stupido e bigotto sedentario senza la minima esperienza di viaggio.
Il problema è che io ormai un articolo a Salad Days Mag gliel’ho promesso… quindi, messi da parte gli auto-pompini tipo “siamo così fichi che abbiamo fatto quello che bene o male tutti quanti fanno in tour”, parliamo di cose pseudo-serie. C’è chi sostiene che il tour sia uno strumento di marketing, che le band vadano in tour per promuovere la loro ultima uscita e forse ai piani alti funziona anche così. E poi ci siamo noi, una miriade di band senza ufficio stampa né manager, che in furgone ci sale appena ferie e lavoro lo concedono. Per quelli come noi, andare in tour non è un modo per pagarsi l’affitto, un modo per fare “carriera” o una questione “lavorativa”. Non pigliamoci per il culo, facciamo un tipo di musica che difficilmente ci darà mai da mangiare. No, andiamo in tour perché abbiamo bisogno di sfamare quell’ancestrale parte di noi che sotto sotto è ancora nomade. Ci ho messo un po’ di tempo a mettere a fuoco il tutto, ma credo che per quelli come noi il fine dell’andare in tour sia il viaggio stesso. Undicimila anni fa l’uomo decise di appoggiare il culo su un pezzo di terra e diventare sedentario. E’ stato un passaggio irreversibile, non si tornerà più indietro, ma alcuni di noi – per sfida o fortuna – hanno una sensibilità a cui questa cosa non andrà mai bene. Non fraintendetemi, ho una stanza, un lavoro ed un documento d’identità anche io. Nomadismo e sedentarietà per me qui sono attitudini mentali: essere animali sedentari vuol dire accontentarsi del conosciuto a discapito del nuovo, vuol dire che quello che hai da rischiare conta di più di quello a cui puoi ambire, vuol dire che la parola “ieri” pesa di più della parola “domani”… o, peggio ancora, pesa di più della parola “oggi”.
Per la maggior parte delle persone che conosco, spendere un weekend guidando 1200km per suonare tre concerti e guadagnarci giusto giusto quello che serve a ripagare autostrade, benzina e furgone, è una sbatta senza senso. Per altri invece no. Per altri è più di una cosa bella, è una condizione necessaria. Stare in movimento, incontrare nuove persone o rivedere vecchia amici, cambiare punti di vista scoprendo angolazioni che mai ci saremmo immaginati è vitale quanto respirare. Certo, la sedentarietà è allettante. Puoi startene comodo all’interno del recinto che già conosci senza fare nessuno sforzo, senza dover caricare e scaricare il furgone ogni sera, senza passare le giornate in autostrada. Ma alla fine sei sempre li, ingabbiato nelle routine che difficilmente potranno darti qualcosa di più di quello che ti hanno già dato. Oppure, invece, puoi utilizzare una scusa qualsiasi come quella della band per muoverti appena puoi, per provare qualcosa di nuovo e ricordarti così che il verbo “vivere” può anche avere un significato più ampio. Perché poi alla fine dai, sta tutto li. Molto presto saremo tutti vecchi e certi azzardi non potremo più permetterceli… ma è veramente una gara a chi arriva con meno lividi al gran finale? O è una corsa con se stessi per avere meno rimorsi possibili? Che si tratti di non rientrare delle spese di un tour, di farsi cagare il cazzo dalla Gendarmerie o di fare qualsiasi primo passo senza avere troppe certezze su come andrà a finire, il verbo “rischiare” farà sempre il culo al verbo “accontentarsi”. Per quanto donchisciottiano e naif possa sembrare, è anche un bel modo per ripareggiare i conti fra sedentari e nomadi.
(Txt by Noodles; Pics by Alessio Fanciulli Oxilia)
Le foto sono del concerto al Laboratorio Sociale Occupato Autogestisto La Buridda di Genova, dove suonarono anche Sator, Marnero e CRTVTR.
SATOR
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