Grenouer interview
Una carriera ventennale quella dei Grenouer, gruppo di San Pietroburgo giunto di recente alla pubblicazione di ‘Blood On The Face’. Incontriamo il leader Andrey Ind, un musicista che ha molto da dire a riguardo della sua musica e di ciò che lo circonda.
SD: Nella vostra lunga carriera avete sperimentato ogni sorta di sound, arrivando a qualcosa di decisamente stabile oggigiorno. Cosa vi ha dato tutte queste energie?
G: Fondamentalmente i Grenouer sono da sempre una band in continua evoluzione. Un esempio concreto potrebbe essere il fatto che dagli anni’90 agli inizi del nuovo millennio fossimo dediti a qualcosa molto simile all’extreme metal, per poi trovarci col passare degli anni ad avere un suono moderno e ricco di groove, quasi rock direi. Non sono mai stato un “defender”, il metal è nel mio sangue ma credo sia importante comprendere tutti i sotto generi nati da quel termine. Def Leppard e Biohazard, Tool e Deicide, Dream Theater e Darkthrone seppur diversi tra loro fanno tutti parte della comunità metal. Tornando a noi credo che le nuove canzoni mi abbiano dato molti più stimoli di quelle scritte in passato, perché mi hanno offerto spunti che prima non ho mai avuto modo di affrontare.
SD: Quando siete partiti con la lavorazione di ‘Blood On The Face’ quali erano i vostri progetti e aspettative?
G: In un primo momento tutti pensavano a ‘Blood On The Face’ come una mera estensione del nostro precedente EP ‘Computer Crime’, cosa che non si è rivelata tale in quanto tre delle cinque vecchie canzoni sono state completamente rivisitate e ri-prodotte, aggiungendoci poi cinque nuovi brani e una cover dei Stone Temple Pilots. Non sapevamo a cosa andavamo incontro, ma di sicuro sentivamo che l’attesa dei fan era tanta e proprio per questo motivo alla lunga capimmo che la strada intrapresa era quella giusta. Magia, affiatamento ed elettricità erano nell’aria e la cosa era davvero cool!
SD: Il disco ha un sound moderno e al tempo stesso unico. Dove avete trovato tutte queste energie?
G: Parlando del suono dobbiamo innanzitutto ringraziare il team DysFunction Productions composto da Dualized ed Eddy Cavazza, i quali hanno svolto un lavoro egregio in fatto di bilanciamento dei suoni ed effetti. La nostra esperienza credo abbia poi fatto il resto, permettendoci di lavorare con sicurezza e la dovuta dose di coraggio su ogni aspetto legato al disco.
SD: Vista la sua varietà ‘Blood On The Face’ è stato etichettato in vari modi, metal, modern rock, rock… Ma voi come siete soliti descrivervi?
G: Il fatto che il nostro disco sia catalogato attraverso differenti termini mi piace parecchio! Il nostro obiettivo principale è offrire qualcosa che possa essere compreso e apprezzato da differenti tipologie di ascoltatori, il tutto con linee di chitarra decisamente pesanti e un cantato melodico. Questo mix ha fatto sì di dare ai Grenouer un DNA molto vario, incorporando elementi nu metal, alternative rock, grunge, hard rock, classic rock e pop.
SD: Quali sono le vostre principali influenze?
G: Le band che hanno determinato in me una devozione verso il metal sono le più classiche: Kiss, Motley Crue, Black Sabbath, Led Zeppelin, AC/DC, Bon Jovi, Motorhead, Alice Cooper e molti altri. Arrivando persino a qualcosa di più eccentrico come Faith No More, Suicidal Tendencies e Living Color. Il metal – come dicevo in precedenza – è assai vario, e penso che tutte queste band abbiano donato qualcosa di loro alla causa Grenouer.
SD: Il disco si presenta per certi versi omogeneo, come se le tracce fossero legate l’una all’altra. Cosa vi ha spinto a creare una tale atmosfera?
G: Sono molto felice che tu abbia notato tutto ciò! Sinceramente credo che sia un processo del tutto naturale, penso nessuno possa pianificare a tavolino tutto ciò. Ciò che posso dire è che la cura posta sui singoli riff ha sicuramente scaturito risultati impensabili fino a qualche tempo fa e il resto ovviamente è arrivato di conseguenza.
SD: Cosa arriva prima in un brano dei Grenouer, un riff o un emozione?
G: Tutto parte inesorabilmente da un emozione. Essa fa nascere un riff, che sostanzialmente viene modificato fino a trovare la perfetta raffigurazione di uno stato mentale.
SD: Di cosa trattano i testi?
G: Partirei col dire che i testi di questo disco non sono legati a un concept, cosa che invece molti pensano. Per ‘Blood On The Face’ ho prestato molta attenzione ai testi, cercando di scrivere i miei concetti nella maniera più semplice e chiara possibile in modo da essere ben recepiti. A tal proposito vorrei citare la dichiarazione di DJ Mark Of Death della radio statunitense Global Gamecast “In linea con il vero stile heavy questo disco ci offre temi tradizionalmente oscuri quale la morte e le sfumature occulte celebrate da un sound emozionante che può toccare sia tenendo il volume dello stereo basso che alzandolo al massimo”. Penso sia il commento migliore per quel che riguarda i miei testi.
SD: Ora che il disco è fuori e hai ricevuto diversi commenti a riguardo, c’è qualcosa che cambieresti al suo interno?
G: Più che sullo stile o sulla produzione penso lavorerei meglio sulla scelta della casa discografica con la quale collaborare. Inizialmente firmammo – sbagliando – un contratto con una casa discografica inefficiente e la cosa ci costò parecchio a livello di immagine nonché finanziariamente. A tal proposito consiglio vivamente a tutte le band di non avere a che fare con la Metal Den Records, etichetta statunitense ai cui vertici c’è un manager opportunista, anzi no, imbroglione. Per fortuna dopo aver chiuso i rapporti con loro siamo riusciti a entrare nel roster di Mausoleum Records, una casa discografica con una grande tradizione in fatto di metal e che sa come lavorare.
SD: Il vostro disco annovera tra le proprie fila diversi produttori. Come è stato lavorare con ognuno di loro?
G: Come detto in precedenza, l’esperienza con gli italiani Dualized ed Eddy Cavazza è stata molto importante per la buona riuscita del disco, ho apprezzato molto il loro talento e il rapporto amichevole venutosi a creare. Altri due nomi da menzionare sono quelli di Anssi Kippo degli Astia Studio Sound in veste di produttore e nel mastering Mika Jussila dei Finnvox. E’ sempre un piacere collaborare con nomi di livello mondiale!
SD: Il miglior e peggio disco del 2013?
G: Come migliore direi l’EP ‘High Rise’ degli Stone Temple Pilots. Il peggiore?! Un qualsiasi disco di qualche artista pop russo, una vera schifezza… Forse addirittura peggio di Justin Bieber.
SD: Progetti per i prossimi mesi in casa Grenouer?
G: Stiamo lavorando su due nuovi videoclip, suonando, negoziando e preparandoci per presenziare in alcuni importanti festival. E ovviamente scrivendo nuovo materiale. Stiamo lottando in poche parole, perché coi tempi che corrono nel campo musicale non è facile sopravvivere per un’artista.
(Txt by Arturo Lopez x Salad Days Mag – All Rights Reserved)
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