Fourth Sun / Peep / Habak @ La Casa Di Alex, Milano – recap
Ho sempre pensato di vivere in un mondo parallelo. Gusti, lavoro, esperienze…
mi trovo spesso a pensare che un eventuale interlocutore in un’ipotetica conversazione riguardo ai reciproci interessi capirebbe ben poco di quello che faccio… di quello che dico… di quello che penso. Il concerto degli Habak rientra perfettamente in questa situazione. Non ne sto facendo una questione “morale”. Non ne sto facendo una questione de: “io sono meglio” (anzi. Qualche volta, e lo sapete bene, l’underground mi ha proprio rotto i coglioni). Proviamo. Amico che esce dal concerto di Zucchero, San Siro. “Zucchero ha spaccato. I concerti a San Siro sono il massimo. Tu cosa sei andato a vedere questa sera?”. “Suonavano tre gruppi, in un posto nuovo, almeno per me: La Casa di Alex. Zona Niguarda. BELLO. Tessera sì, ma fanno un casino di cose quindi 5 euro ben spesi. Due spine di birra (artigianali but affordable) al bar, personale simpatico e preso bene, tanto che ci ho lasciato volentieri un resto.
Partono i Fourth Sun. Tu non leggi Salad Days, ma abbiamo recensito uno dei loro gruppi “paralleli”, i THØRN. Tu non vai a vedere gli Eyehategod, ma l’ultima a Milano, quella al Legend, di spalla c’erano proprio i Fourth Sun. Avevano spaccato. Rispetto ai “paralleli”, rispetto ai THØRN: togli l’aggettivo “blackened”, e mettici un semplice “post”. Suoni anni ’90, post hardcore bello metal… presenza e voce di Alberto che mi portano a qualche basement show tipo Baltimora… avevano spaccato con gli Eyehategod. Oggi pure.
Dopo hanno suonato i Peep. Ci canta Gianluca degli Øjne. Gli Øjne li conosci, vero? Sono un gruppo oramai grosso, screamo. A Milano (e non solo) muovono centinaia di persone. I Peep sono il progetto “powerviolence” di Gianluca. Quindi lo preferisco, e di tanto, al gruppo madre. Chaos… botta… feedback lasciati tra un brano e l’altro… prensenza e voce di Gianluca che mi portano a qualche basement show tipo Oakland. BOMBA.
Arriviamo al piatto forte della serata. Da Tijuana gli Habak. Come definirli? Qualcuno mi ha suggerito emo-crust. Forget about that: sapete bene che quando sento parlare di “emo” (quello original, ok? Quello degli anni ’90) mi vien male. Ho letto di “melodic” crust: ed anche qui mi vien da dire… mah??! Mi spiego. La parola “melodic” affianco a qualcosa che richiama all’hardcore mi catapulta a certi “punk” colorati della Fat Wreck… quindi brutte sensazioni, non un complimento. Rimane una sola definizione possibile. Gli Habak sono un gruppo “post-crust”. O… forse…. gli Habak sono un gruppo “crust evoluto”. Parti atmosferiche alternate a sfuriate a mille… la cosa più simile per rendere l’idea? Gli Habak stanno al crust come i Deafheaven stanno al black. La vuoi sapere una cosa divertente, un’ulteriore prova dell’importanza degli Habak in questo particolare momento?
Nel pubblico c’era tanta gente che suona… non solo i soliti noti dei concerti. Ho riconosciuto tanti “vips”: Skulld, Riviera, Radura, Potere Negativo, Baratro, Golpe… e qualcuno me lo sto scordando!” “Fermati Franz, time out… non ti seguo. Non ci ho capito un cazzo… non un nome. Non un genere. Non un posto. Scusa.” Ho sempre pensato di vivere in un mondo parallelo. Gusti, lavoro, esperienze… mi trovo spesso a pensare che un
eventuale interlocutore in un’ipotetica conversazione riguardo ai reciproci interessi capirebbe ben poco di quello che faccio… di quello che dico… di quello che penso. Il concerto degli Habak rientra perfettamente in questa situazione.
(Txt fmazza1972 x Salad Days Mag; Pics Luca Secchi)
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