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Salad Days Magazine | December 23, 2024

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Forming The Void ‘Relic’

Forming The Void ‘Relic’
Salad Days

Review Overview

6
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Rating

FORMING THE VOID
‘Relic’- CD
(Argonauta)
6/10


I Forming The Void vengono dalla Louisiana. Siamo nel pieno sud dell’America, dove tutto nasce, dove negli anni novanta il blues, dna di questa terra, e metal, danno vita a quello che è lo sludge, ovvero il più marcio southern rock esistente. Con i Forming The Void però, più che blues, più che sludge e più che violenza nichilista, si bramano accenti psichedelici ed atmosfere lisergiche. Quando il primo brano, ’After Earth’, comincia, si intuiscono le solite e ormai scontate influenze; dai Kyuss ai Mastodon, dai Baroness ai Torche. Ci sono però componenti che determinano una ricerca sonora non del tutto figlia degli anni novanta; i riff blues si intrecciano con atmosfere psichedeliche che rimandano ad un’estetica prog, quasi space rock. Questo rompe la catena dello stoner-doom solito, che ormai ha ben poco da raccontare. Con il brano ‘Biolazar’, sembra quasi di sentire i Melvins nelle loro vesti più sperimentali, quando nel 1996 con Stag, cominciavano a trasformare il power trio doom in una formazione che utilizzava synth, organi, pianoforti. Elementi tipici della stilistica prog, appunto. Con il brano “Relic” i Forming The Void tornano a calcare le chitarre che si muovono di nuovo a passo lento e pesante, insieme ad una batteria secca e diretta, ma non appena il brano si conforma agli elementi 90s più classici ecco che comincia una coda psichedelica, fatta di chitarre noise, voci effettate e linee ritmiche distopiche. Da qui in poi l’album diventa una banale evoluzione del sound dei Black Sabbath, con la voce tipica dello stoner, pulita, melodica, a metà tra John Garcia ed Eddie Vedder. Nel mondo un po’ stantio e ripetitivo dello stoner, i Forming The Void riescono a catturare l’attenzione per più di qualche minuto, grazie a riff psichedelici alla Sleep maniera (quasi sembra di sentire il basso di Al Cisneros, in brani come ‘Unto The Smoke’). L’album si chiude con un omaggio ai Led Zeppelin. Una versione stoner di ‘Kashmir’, rielaborata tecnicamente priva di qualsiasi pecca, ma senza il minimo gusto musicale.
(Valentina Vagnoni)

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