Double Nickels interview
C’è un nuovo progetto editoriale sulla piazza, si chiama Double Nickels e le persone da ringraziare sono Chiara e Matteo, che potreste riconoscere rispettivamente per essere la rumorosissima bassista dei Lleroy e per il defunto blog Bastonate. La prima uscita è ‘Memorial Device’ di David Keenan, tradotto in italiano a tre anni dalla sua pubblicazione, un campionario di peculiari personaggi che anima la scena post-punk di Airdrie, poco distante da Glasgow, nei primi anni ‘80. Cosey Fan Tutti dei Throbbing Gristle, una che due cose strane le ha fatte, dice “Non ho mai letto un libro del genere”, datele retta e magari la penserete come Kim Gordon quando dichiara “voglio vivere dentro a quel libro”. Il futuro è già scritto e Double Nickels proseguirà con Michael Gira (Swans), Eugene Robinson (Oxbow) e Ian Svenonius (Nations Of Ulysses prima di qualsiasi altra cosa abbia fatto), a rinsaldare il legame con i musicisti underground che non si limitano a suonare.
SD: Double Nickels pubblicherà libri scritti da musicisti che non significa necessariamente libri sulla musica. Da una parte significa un pubblico molto ampio, dall’altra si traduce in una nicchia ancor più complicata quasi come quella che si crearono i Minutemen, che citate nel nome di questa casa editrice. Spesso incompresi ma definiti geni e precursori dopo la loro fine, siete pronti a condividere con loro questa dimensione?
Matteo: La dimensione che condividiamo è fare le cose in un modo sostenibile dal punto di vista etico; in generale la storia dei Minutemen è per noi il modello a cui aspirare per quello che riguarda stare al mondo. Non entro nemmeno in territorio artistico/musicale, lì c’è solo da genuflettersi alla Wayne e Garth davanti a Alice Cooper, accettare il dono della bellezza e tacere. Per tutto il resto, restringere il campo è un modo per darsi una direzione ed essere facilmente riconoscibili dall’esterno, ma anche una questione di igiene mentale commisurata ai nostri mezzi.
SD: Raccontiamo un po’ ‘Memorial Device’, come l’avete conosciuto? A quale pagina tornereste subito per dirmi il vostro episodio preferito del libro?
Chiara: Il merito della scoperta di Keenan va ai suoi traduttori, Matteo Camporesi e Lorenzo Mari, sono stati loro a proporcelo. Incuriosita dal personaggio, estremamente prolifico (ex musicista, gestore di un’etichetta e di un negozio di dischi, critico musicale e infine scrittore), ho letto il suo primo libro e ho pensato che sarebbe stato un buon esordio per DN. ‘Memorial Device’ racconta la storia di una band mai esistita realmente, infatti la musica non è al centro della narrazione. Se il post-punk si può riassumere nell’esplosione del punk in tutte le direzioni espressive possibili, quella descritta nel libro è un’espressività talmente sincera e disinteressata da andare spesso incontro al fallimento e non sottrarre il fallimento allo sguardo della memoria. Uno dei miei capitoli preferiti è il quindicesimo, racconta del funerale di uno dei personaggi attraverso il ricordo di una sua conoscente. Per commemorarlo i suoi amici prendono l’iniziativa di stampare un disco con le sue ultime registrazioni, confezionando il packaging col materiale trovato nei suoi quaderni, selezionato rigorosamente senza nessun criterio. Persino la morte diventa uno stimolo per compiere l’ennesimo gesto artistico che non ha nessuna pretesa di essere tale.
SD:Quali sono stati i passaggi fondamentali per ultimare la vostra edizione? Per essere l’inizio di Double Nickels è stato un processo stimolante?
C: Abbiamo avuto un intero lockdown per sbizzarrirci sull’impaginazione e pensare alla copertina, su cui poi è finito uno scatto di Dino Ignani (da ‘Dark Portraits Rome 1982-1985’, uscito per Yardpress) più o meno contemporaneo alle vicende di cui tratta il romanzo. Dopodiché abbiamo scelto di stampare in una tipografia bolognese, per avere la possibilità di scegliere i materiali di persona e stabilire un contatto diretto con chi se ne sarebbe occupato. La parte in cui l’oggetto-libro prende forma è sicuramente la più divertente di tutto il processo, e per la prima uscita coincide col momento in cui si prendono decisioni di massima sull’identità del progetto, quindi gli stimoli abbondano.
SD: Salad Days nasce nel 2009, per anni mi sono occupato dei libri di stampo musicale (diciamo legati per lo più all’underground) e se inizialmente recuperavo liberamente titoli dal passato per riempire quella pagina di recensioni, col passare degli anni sembra sia difficile stare appresso alle nuove uscite. La mia impressione è che ci sia un’ondata generazionale più interessata all’argomento e che sia anche più facile gestire una pubblicazione. Mi dite qual è la vostra opinione?
M: L’ondata generazionale c’è sicuramente da parte dell’offerta: sono aumentate le pubblicazioni perché sono aumentate le persone che si prendono la briga di stare sul pezzo, recuperare e tradurre certi materiali. La banda larga ha aiutato: all’epoca di internet 1.0 la circolazione era più limitata, spesso ai limiti della carboneria, molti libri che hanno significato molto per me non sono mai arrivati in Italia. Sulla domanda è tutto da vedere: aprire/partire è sempre comunque la via di mezzo tra un atto di fede e saltare dal precipizio senza sapere quanto è lunga la corda, se c’è una corda.
SD: Essendo tu, Chiara, anche musicista, ti sei già resa conto di cosa musica ed editoria indipendente condividono nella parte distributiva?
C: In entrambi i casi la grande distribuzione è una risorsa solo per chi ragiona su numeri molto diversi dai nostri, che corrispondono a un altro approccio, altri mezzi e in parte anche a un altro pubblico. Nella musica lo scenario è abbastanza polarizzato, nel senso che chi si muove nel circuito dei piccoli club o dei centri sociali vende i dischi quasi esclusivamente ai concerti e ha poco o nessun interesse a piazzarli altrove. Per i libri il discorso è diverso, c’è una rete validissima di librerie indipendenti con cui i piccoli editori instaurano spesso rapporti diretti bypassando i distributori. È quello che abbiamo scelto di fare per il momento, nell’attesa di promuovere le uscite con un po’ di presentazioni in giro.
SD: Essere sommersa da manoscritti di autori sconosciuti è un’ambizione o una croce cui prepararsi?
M+C: È un problema che per ora non si pone; se arriveranno li leggeremo, siamo aperti a tutto quanto sia compatibile con la nostra sfera di interesse.
SD: Al di là dei titoli che pubblicherete, restando nell’ambito musicale, mi dite un paio di titoli che menzionate tra i vostri preferiti?
M: ‘Our Band Could Be Your Life’ di Michael Azerrad (‘American Indie’ nell’edizione italiana), ‘Please Kill Me’ di Legs McNeill/Gillian McCain, i capitoli sui Genesis, Whitney Houston e Huey Lewis And The News in ‘American Psycho’ di Bret Easton Ellis nella traduzione di Pier Francesco Paolini.
C: ‘Questa E’ La Mia Terra’ di Woody Guthrie, ‘Post Punk’ di Simon Reynolds e l’autobiografia dei Nofx.
SD: Per forza di cose devo chiederlo, riuscireste a pubblicare uno scritto che vi piace di un musicista che non sopportate?
M+C: Dipende, generalmente l’importante è il contenuto. Diciamo che avremmo problemi a pubblicare uno scritto che non ci piace di un musicista insopportabile.
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