Danzig ‘Black Laded Crown’
Review Overview
7
7DANZIG
‘Black Laded Crown’-CD/LP
(AFM)
7/10
Glenn Danzig è uno dei miei cantanti preferiti fin da quando avevo 15 anni e mi approcciavo con devozione reverenziale ai Misfits. Per inciso, questi ultimi sono uno dei miei gruppi top. In seguito il nostro mi ha affascinato con i Samhain e con il suo progetto Danzig (fu Rick Rubin della Deaf American Recordings a suggerirgli di passare al moniker Danzig, per sottolineare il cambiamento di stile, con accenni maggiormente hard rock e blues rispetto ai Samhain), del quale ho una venerazione totale per i primi due album. Danzig possiede un carisma che su di me esercita un certo fascino, unito ad una voce che mi rimanda subito a Jim Morrison, un altro dei miei singer preferiti. Questo nuovo album, contenente nove tracce, non suonerà certo potente e fresco come le sue prime cose a cavallo fra la fine degli eighties e i primi nineties, ma devo ammettere che non è assolutamente da buttare. Certo, nei primi pezzi sembra che Glenn debba prenderci un pò il tiro con la voce, ma dopo è tutto in discesa. Ovviamente non aspettatevi di sentire la voce cristallina e profonda dei primi dischi, sarebbe sinceramente chiedere troppo ad uomo che ha appena girato la boa dei sessanta anni. Troverete invece un timbro più maturo, non più profondo come un tempo, ma sempre in grado di farci ballare con il demonio. Perchè alla fin fine è li che si va a parare: una danza macabra con la grande mietitrice, fra notti gelide, femme fatale e lunghe strade in mezzo al nulla. Danzig è sempre stato maestro in ciò: farci accedere ad un universo dark e ipnotico, senza spaventarci troppo, ma lasciandoci sempre sul chi va là. Il marchio di fabbrica è garantito da quel personaggio mistico che è Tommy Victor dei leggendari Prong alla chitarra, in grado di essere granitico e mai banale. La sezione ritmica lavora in sincrono per ricreare quell’atmosfera da fumetto horror di cui Danzig è sempre stato un accanito consumatore, fondando addirittura una sua casa editrice. Un disco robusto, in cui spicca un brano come ‘But A Nightmare’ che parte lento per poi esplodere in una cavalcata sanguigna. Non posso fare altro che dare il bentornato al signore delle tenebre e augurarvi tanti nuovi incubi…
(Marco Pasini)
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