Da Black Jezus ‘They Can’t Cage The Light’
Review Overview
9
9DA BLACK JEZUS
‘They Can’t Cage The Light’-CD
(Weapons Of Love)
9/10
Da Black Jezus è una sorta di distopia neo realistica soul/blues, dall’anima mutante ricca di elettronica dall’umore cupo, un flusso che fa sgorgare grumi di bile fuse a oro color terra. La messa a fuoco è un’immagine stabile, ma “mossa” su pellicola 35mm, un incredibile piano sequenza Antonioniano che, da fotoreporter, converge in Zabriskie Point. ‘They Can’t Cage The Light’ parte dal profondo come in un vortice dove si estraggono, a poco a poco, pezzi di vita e corpi in frantumi. La voce unica di Luca Impellizzeri “narra” come in un racconto di H. Selby Jr e proprio citando l’illustre romanziere si ha l’impressione che vi sia dentro di noi qualcosa di talmente mostruoso e demoniaco che, se dovessimo tirarlo fuori, non saremmo in grado di guardarlo e gestirlo, ma proprio nell’istante di quell’ipotetico incontro, supportati da un coraggioso istinto di sopravvivenza, ci troviamo invece di fronte la controparte angelica. Contenuto in una sfera buia, la luce si fa largo, brucia e fora il buio: è così che Ivano Amata si fa spazio punteggiando con synth, xilofono e drum machine l’intero album, sviscerando, insieme a Luca, lingue di chitarra che si affilano sulla propria pelle. Così, da brani come ‘Ways’ e ‘Dry’ ombrosi, minacciosi e dal confine labile dove danzano la disperazione e la paura, ci si incammina su strade incoraggiate dalla speranza e da bagliori sempre più vivi che di rimbalzo brillano sui palmi delle mani. Cosi arriva ‘A Matter Of Time’ a sancire, ispirandosi al vissuto di M.L. King Jr, come il tempo sia gentile con i buoni e impietoso con i bugiardi. Redenzione. Infine ‘Somentimes’ è una costellazione di sensazioni e suoni, dalla chitarra slide, alla soffice, ma obliqua battuta della batteria, fino ad arrivare alla inquieta, ma poi luminosa voce che muta ancora su un gospel confidenziale. L’importanza di ‘They Can’t Cage The Light’ è proprio correlata al coraggio di guardare nel proprio io fin nei luoghi più bui e reconditi.
(Giuseppe Picciotto)
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