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Salad Days Magazine | November 19, 2024

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Review update – Speciale Italia

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AIRWAY
‘Questa Notte Non Sono Morto’-CD
(Nerdsound Records)
4/5
Seguo gli Airway da sempre e devo dire che questo terzo album si presenta come il più convincente di tutti. Volendo lo potremmo definire come il tanto famigerato album della maturità, senza troppe titubanze. Confermando il cantato in italiano (bene) e abbandonata l’eccessiva patinatura del lavoro precedente, il quartetto di Treviso sembra concentrare le proprie attenzioni su una scrittura che snellisce l’ingombrante carico emo-core/screamo dei loro trascorsi, per dedicarsi a una forma primariamente alt-rock (come l’e.p. ‘L’Urlo’ aveva anticipato, d’altronde), che conserva i grandi volumi e gli arrangiamenti sfarzosi (produzione esplosiva della band stessa insieme al fido Luca Spigato) ma quasi del tutto priva di retorica (solo la strofa hip-hop in ‘Il Passo Delle Cose’ dell’ospite Ghemon, ma forse è un problema mio). Così vengono fuori pezzi come ‘Crisalide’, ballata lunare di grande intensità (e dal finale sorprendente), il primo singolo ‘Supernova’ e ‘Terrestri’, catchy sì, ma anche raw & wild, o la già conosciuta ‘Diagonali’, deflagrante macchina rock che è pure la mia preferita. A questo punto, volendo fare un resoconto sul rock della nostra penisola, credo sia impossibile tralasciare gli Airway.
(Flavio Ignelzi)

CURSE THIS OCEAN
‘Lightbringer’-CD
(Strikedown Records)
3,5/5

Non penso di dire fesserie se affermo che l’impostazione dei Curse This Ocean è hardcore puro e integro, con tangibili allungamenti verso il metal, ma filtrata da uno spesso drappo dark e attraversata da colate di devastante magma sludge. D’altronde l’opera di masterizzazione è stata svolta da Magnus Lindberg dei Cult Of Luna e la mano dello svedese deve pure aver pesato qualcosa sul risultato finale. Il gruppo sardo può sventolare orgogliosamente la bandiera del “post”, però, essendone giustamente portatore (in)sano. La furia hc incanalata in binari estremamente dinamici contraddistinguono title-track e successiva ‘Black Blood’, ma è con ‘When Everything Is Dead And Gone’ che le cose si fanno ancor più frammentate e forse per questo più interessanti, mentre ‘Time Heals Nothing’ ferisce nel profondo procedendo tra guizzi e magli. Poi ‘Zeitgeist’ giunge lenta e inesorabile, immenso spaccato Neurosis-oriented, e sembra aspirare all’eternità come il titolo fa intendere, laddove ‘The Eighth Day’ chiude la cerimonia, invocazione rallentata e doomy, per religiosi in muto ascolto, con le orecchie sanguinanti come stigmate.
(Flavio Ignelzi)

(A)TOLL
‘With Clenched Teeth’-CD
(Mother Ship Records)
4/5

L’artwork di copertina firmato Ratigher (l’autore – tra l’altro – del bellissimo graphic novel ‘Trama’) attrae come un orso col miele, subdolo specchietto per le allodole, in modo che ‘With Clenched Teeth’ possa poi afferrare per i capelli l’ascoltatore e trascinarlo in un mondo in cui la violenza del più affilato noise-rock copula magistralmente con l’hardcore evoluto. L’album, così, assume un carattere deragliante e stordente in grado di paralizzare o atterrire, fin da(lla) ‘First Plague’, anche se le cose più destabilizzanti giungono più avanti, nelle invettive tribali di ‘Unsaved Son’, nelle cadenze stoppate di ‘Poor Dead Boy’, che paiono ripartire anche in ‘Black Sour Sour Black’ la quale devia da un certo momento in poi in una coda strumentale che arriva a sfiorare pure l’improvvisazione jazzata. ‘Leak’ sferra l’attacco al rock tradizionale, ‘B Is For Broken’ e il finale ‘Second Plague’ sfuggono al controllo su sincopi impossibili, definendo la band perugina come una delle più brutali ed efficaci del Belpaese.
(Flavio Ignelzi)

DEATH BY PLEASURE
‘Waited, Wasted’-EP
(Mashhh! Records)
3/5

A vantaggio di tutti i seguaci dell’ultra-chiassoso (e volutamente lo-fi) garage/noise, in terra italiana si stanno facendo strada i Death By Pleasure. Rispetto al primo album ‘Merry Go Round’ (datato 2009) è cambiato il batterista (Lorenzo Longhi al posto di Marco Ricci), e trattandosi di un duo è pur sempre il 50% della formazione. Sin dall’iniziale ‘Spontaneous Combustion’ si scopre il fragore del riffing elettrico, le distorsioni sature e le cadenze martellanti. Nella musica del duo trentino risalta la particolare urgenza ritmica (soprattutto nella serrata e punk-oriented ‘Points Of View’) e una certa predilezione per lineari tempi retrò alternati a sprazzi di follia (il movimento sixties della strofa e gli improvvisi scatti nirvaniani di ‘Find A Fire That Burns’), non sovvertendo però una sostanziale monolicità e ammiccando a qualche partitura genericamente shoegaze. Qualcosa da rivedere c’è, per esempio la voce di Mirko Marconi in qualche circostanza appare persa nel trambusto diffuso. Un rilievo questo che può essere considerato accessorio visto che, grazie alle loro trame sonore, i DBP evitano già di passare per incauti bombardatori.
(Flavio Ignelzi)

DICOSE
‘Cherries And Broken Ass’-EP
(AK Records)
3/5

Nel variegato universo del recupero rock manca(va)no ancora i nostalgici degli anni novanta, quelli dei gruppi cresciuti a pane e grunge, o pane e crossover, o pane e altre cose così. I calabresi DiCose possono rientrare in questa categoria (volendo), con l’e.p. ‘Cherries And Broken Ass’ intenti nel ricercare e ricreare riverberi del periodo che regalò tante buone soddisfazioni agli appassionati di rock non educato. Così il basso sembra avere un ruolo importante nell’economia sonora del trio di Lamezia Terme (abbastanza evidente in ‘Fhranciskina’s Son’), mentre ‘Ego Al Chiodo’ offre il cantato in madrelingua e una scheletricità punk irreprensibile. ‘Lucerna Tavioli’ è una strana ballata psichedelica e corrosiva, forse la mia song preferita del lotto, che mi ha riportato alla mente i Karma, gloriosa e sfortunata band tricolore dei novanta, mentre ‘Bikini Fast Drive’ chiude i giochi con una performance acustica, sporca, dannata e sudista come si conviene. Per adesso un e.p. niente affatto innovativo ma molto coinvolgente. Aspettiamo le prossime mosse dei DiCose.
(Flavio Ignelzi)

WHIU WHIU!!
‘Whiu Whiu!!’-EP
(Long Life Records)
4/5

Le movenze dei Whiu Whiu!! (col doppio esclamativo finale!) potrebbero portare a credere a una nuova coniugazione del sacro verbo del revival rock, in particolare per l’iniziale ‘L’Abatjour’ che assume accenti rock’n’roll, perfino rockabilly, oppure per ‘L’Olimpiade’ che si incontra poco più avanti e che percorre le medesime vie. In verità la band originaria della provincia di Nuoro pare essere vicina anche a una evoluzione/declinazione del modello Litfiba (tempi d’oro, s’intende), che tipo in ‘Per Un’Altra Strada’ è abbastanza lampante. Con questo non ho intenzione di insultare nessuno, tutt’altro. Prendete ‘L’Amò In Due’ che secondo me è il pezzo più cazzuto dell’e.p.: grande carica punk, immensi cori urlati, una potenza di fuoco davvero invidiabile. Che poi è il perfetto contrario di quanto proposto in ‘Ghost Song’, un post-rock dilatato e vaporoso, che potrebbe essere il regalo di qualche timida formazione nordica. Fatto è che il combo sardo centra in pieno il bersaglio e fa venire voglia di seguirli. Wow!!
(Flavio Ignelzi)

STRATTEN
‘Bologna 67/77’-CD
(New Model Label)
3/5

Un album che è cantautorato rock, ma che è anche poesia nonché un concept nostalgico sulla città di Bologna, ritratta nel decennio 1967/1977, quello che è stato probabilmente il più tragico della sua storia, ma anche il più creativo e stimolante. Il duo formato dalla cantante Alessandra Reggiani e dal musicista Nicola Bagnoli (con liriche del poeta Vincenzo Bagnoli) porta a spasso l’ascoltatore per i portici del capoluogo dell’Emilia Romagna attraverso gli occhi del ragazzo protagonista della storia e del disco, sfruttando costruzioni musicali che sfidano ogni schema o limitazione. Dal jazz da taverna fumosa di ‘Moonlight ‘69’ alla ninnananna celestiale di ‘L’Ordine Delle Cose’, dal folk incantato di ‘Lotta Di Classe’ al blues malinconico e sconsolato di ‘Lune Assassine’, fino alla prog/fusion indiavolata di ‘Deep Sky’ (con tanto di citazione del serial fantascientifico ‘The Prisoner’), è un continuo rincorrere di emozioni e ricordi, dichiarato attraverso una formula che fa risaltare sofisticherie e teatralità. Insomma, un lavoro per palati fini.
(Flavio Ignelzi)

VALERIA CAPUTO
‘Migratory Birds’-CD
(Vintage Factory Lab)
3,5/5

Non sembra italiana, la Caputo. Sembra piuttosto una cantautrice americana, una figlia dei fiori degli anni settanta che per uno sbalzo temporale inspiegabile si ritrova ai giorni nostri. Le dieci canzoni dell’album sono ballate tendenzialmente acustiche, serene nelle propensioni, leggiadre negli arrangiamenti, intime nelle conseguenze. ‘The Next Train’ apre l’album nel migliore dei modi, essendo probabilmente la song con maggior feeling e appeal, ‘December Sun’ segue portandosi con sé un alone di malinconia (con il sax di Tiziano Raspadori che incide in maniera decisiva sugli umori del brano), ‘Honey In My Room’ è puntellata dalla voce sicura della cantautrice di origine pugliese (ma adottata dall’Emilia Romagna) e da un bel violoncello (di Marco Remondini) mai importuno. Le movenze folk di ‘I’ll Be There You’, le atmosfere sospese della canzone che dà il titolo al disco e gli arpeggi nonché gli archi di ‘The Sea Has Told Me’ sono altre deliziose composizioni di un disco che evidenzia una grande maturità e delle capacità di compenetrazione, insomma un lavoro già pronto per platee molto più vaste del nostro piccolo underground tricolore.
(Flavio Ignelzi)

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