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Sulla Pelle Del Lupo: Raw Power + Call The Cops + Snowball + The Elders Club @ Palestra LUPo, Catania – recap
May 16, 2024 | Salad DaysAttitudine: disposizione per una certa attività mentale o fisica, innata o dettata dall’ambiente. E’ di questo che parla quello qui riportato, di una spiccata “fucking attitude”, a cominciare dalle organizzazioni:
Catania Hardcore, Tifone Crew e i tipi di Palestra LUPo che hanno voluto sul palco nella stessa serata i Raw Power e i Call The Cops coadiuvati dai locals veterani Snowball e dagli esordienti (ma rodati in sala prove) The Elders Club. Uno sforzo, una collaborazione affinché questa spina dorsale, per portare giù in Sicilia i gruppi a suonare, diventi più flessibile e più vogliosa.
E poi i Raw Power, che dire: la loro punk attitudine è encomiabile, reale. Il tempo li scava ma la pelle è come quella del lupo (nel senso buono…). Più di 35 brani eseguiti in una combinazione di suoni unica e definibile: HARDCORE.
I Call The Cops, band di diverse generazioni dopo i Raw Power eppure stessa voglia di affrontare le sfide, i luoghi, le persone. Deraglianti sul palco, un’indomita voglia di dare e di offrire al pubblico la rabbia, il malcontento ma anche punti di vista e stile di vita!
Infine i locals Snowball, band trasversale che riversa sul palco la loro passione, la loro forza, tra crossover thrashcore e ossequi all’old school hardcore degli anni’90 e i The Elders Club, un (falso) club d’anziani che cerca di sfogarsi, vomitando grunge, folate garage punk e punture noise rock perché è questo che sono e che vogliono essere e non c’è di meglio che dimostrarlo proprio sul palco della LUPo. Il cerchio si chiude con chi sta sotto il palco tra giovanissimi, giovani e meno giovani; i visi, malgrado le diverse età, hanno la stessa espressione, la stessa voglia e la stessa attitudine.
C’è stato modo di parlare con i Raw Power nella figura di Mauro Codeluppi e con i Call The Cops nella figura di Marconcio: tre domande a testa che esaltano ancora una volta un modo di essere, una propensione al fottere il tempo, a modellarlo piuttosto che farsi modellare:
Mauro Codeluppi X Raw Power:
SD: L’ultra quarantennale storia dei Raw Power vi ha visti calcare i palchi dei grandi festival fino a quelli dei piccoli club in giro per il mondo. Questa sera qui, nella venue ormai storica di palestra LUPo di Catania, quali sensazioni ancora si percepiscono e qual è il vostro approccio segreto che continua a farvi andare avanti nella vostra magnifica punk attittude?
RP: Le nostre motivazioni per andare avanti sono sempre le stesse da quando abbiamo iniziato a suonare 40 anni fa. È prima di tutto la passione per questo genere di musica: per noi l’HardCore / Punk rimane sempre il genere più bello, divertente ed energico che ci sia e da sempre la nostra “missione “è quella di trasmettere ai presenti la nostra energia, la gioia di essere lì divertendoci e facendo divertire, (si spera!) far star bene la gente che viene ai concerti nostri come di altre bands. Il concerto alla LUPO poi sarà speciale perché non ci siamo mai stati ed è un po’ che manchiamo dalla Sicilia, troppo. Ci impegneremo ancora di più perché risulti una serata speciale.
SD: Ci sono momenti storici ed epici e momenti in cui invece tutto sembra che le cose siano ormai al capolinea, come si muovo dentro il tempo i Raw Power e come si sono evoluti?
RP: Come sai negli anni la formazione all’interno della band è cambiata, per vari motivi, ma quello che è rimasto sempre con tutti i membri della band, vecchi e nuovi, è stata la motivazione, l’attitudine, quella non è mai cambiata e mai cambierà. Poi, è chiaro che le cose cambino, il mondo cambia, purtroppo mai per il meglio, ma ognuno di noi dovrebbe fare la sua parte per cercare di renderlo migliore e ognuno lo fa a modo proprio, con quello che sa fare meglio.
SD: Ogni volta le band dicono che l’ultima fatica realizzata sia la migliore, in realtà è veramente così? Quali sono i tre migliori album dei Raw Power?
RP: Non credo. Magari per qualcuno è così, ma la vedo dura, penso che le cose migliori musicalmente parlando, almeno in questo genere, siano le prime: ‘Screams From The Gutter’, ‘After Your Brain’, ‘Mine To Kill’.
Marconcio x Call The Cops
SD: La musica e i testi dei CTC sono espliciti e chiari, diretti e dagli argomenti attuali. Quanto sono importanti per voi la musica e quanto i testi?
CTC: Lo sai che non è una domanda facile per niente, alla fine? Secondo me il fatto è che anche la componente musicale è almeno in parte oggettivabile, a livello evocativo ed emotivo. Non riesco a non pensare che il black metal è pressoché nazional-popolare in una nazione con lo stato sociale tra i più avanzati del pianeta, uno dei pochi che è riuscito a godersi i propri giacimenti petroliferi senza essere sterminato dagli americani, mentre in Brasile nelle favelas verosimilmente ascoltano musica leggera ritmata che parla di quanto è bella la vita. Sarà che ad avere troppi pochi problemi si finisce per inventarseli, sarà il clima e l’esposizione al sole, sarà che a mangiare sempre merda confezionata si finisce depressi, boh, però una componente oggettivabile ce la vedo, ecco. La nostra non è oggettivamente orecchiabile, non siamo di certo la band di cui consumerei il disco in macchina, però è quella musica che suona come volersi accollare il dolore della sofferenza del non cedere al tepore della mediocrità generalizzata, del non pensare che siccome “così fan tutte” allora è necessariamente accettabile. E l’attaccamento alla band non triggera tanto dal disco, ma spesso dal vivo, o quantomeno quando capti qualcosa che dà una dimensione ulteriore, che declina quella sonorità da macelleria, a una qualche attitudine o analisi della realtà, quindi il live, un videoclip, un testo. Io rispondo a titolo personale, e ho scritto gran parte dei testi. Farei di tutto perché la gente li leggesse, visto che dal vivo non si capisce una “fava”. Fare video musicali con i sottotitoli, fare i testi del disco in formato albo a fumetti, introdurli sommariamente ai concerti e, tendenzialmente, lo facciamo. Ripeto non è che sia indispensabile conoscerne molti, però spulciarne un paio dà una dimensione di profondità ulteriore a quel putiferio che è la musica. Credo che i miei feedback preferiti dell’universo sono quelli della gente che commenta i testi su YouTube, insieme a quelli che ci dicono “il vostro genere mi fa cagare, ma dal vivo spaccate”. Tornando alla musica, e giuro che poi taccio, penso che chiunque affezionato alla musica con così tanto investimento passionale, sappia benissimo che è una indispensabile àncora di sanità mentale in un mondo di persone insensibili o, quantomeno, veramente scortesi e bugiarde.
SD: Siete una band che viene incanalata nel filone anarco-punk, sul palco la musica sfreccia tra deraglianti sezioni d-beat e disorder punk anni’80 inglese. I vostri live sono delle vere e proprie schegge impazzite, lasciano sempre il segno. Insomma, siete belli carichi. Ma come si vive invece il classico “da lunedì a venerdì”?
CTC: Non veniamo incanalati nel filone anarcopunk, questa è un’osservazione di una persona intelligente e “studiata” in materia, non è però la norma. Al netto del fatto che a nessuno piace definire il genere della propria band, direi che siamo proiettati nell’immaginario californiano/algoritmo di Spotify come una band streetpunk americana, nell’immaginario Portland/Seattle come una band d-beat anarcoide, nell’immaginario europeo come una band chaos punk, nell’immaginario italiano come una band un po’ fighetta un po’ politicizzata. Se vuoi la mia altrettanto inutile opinione, siamo tecnicamente una band hardcore, che ha degli ampli da metallari e ha consumato i dischi degli Aus-Rotten e Chaos UK, almeno questo l’innesco iniziale ecco. Poi, che ne so, nel disco nuovo c’è un pezzo rap/crossover. Il lunedì – venerdì non me lo vivo tanto bene, anche perché spesso deraglia nel sabato – domenica e personalmente sono psicologicamente danneggiato dalle responsabilità e dal denaro. Mi piace pensare che sia il prezzo da pagare per essere abbastanza flessibili per sostenere quell’esborso di tempo ed energie che è la band, pur essendo nati poveri in quattro su quattro. È veramente uno sport estremo in Italia, ma questo non lo devo certo spiegare al lettore italiano. Spero di poter dire che stiamo, lavorativamente parlando, cercando di fare un po’ fronte comune e prenderci cura gli uni degli altri anche in questo senso. Ma non vedo proprio come potrebbe non essere così, date le circostanze. La maggior parte della gente che abbiamo intorno perderebbe il lavoro al primo tour.
SD: Parliamo di ‘Manifesto (For The Rebirth Of The Worldwide Punk Scene)’ vostro ultimo lavoro ormai uscito due anni fa, come è stato accolto (molto belle e interessanti le sperimentazioni con il rap old school e la vena melodica ispirata…) e dove vi ha portato rispetto a prima? Cosa avete pronto invece per il futuro imminente?
CTC: Boh non lo so. Quello, più che un disco, è una raccolta di tutto il materiale inedito in una fase di transizione della band. Non è neanche veramente ancora uscito, in un certo senso. Cacceremo fuori i pezzi con vari video e su Spotify nei prossimi mesi, oppure se uno ha fretta può comprarsi il vinile, ecco. Non so di preciso dove stiamo andando, non ci siamo dati dei paletti di genere musicale, quello che sono certo è che voglio che la nostra musica sia qualcosa come se subissi un pestaggio dagli altoparlanti, e quando ti rialzi tutto gonfio, hai degli strumenti migliori di analisi della realtà.
Mini interviste finite. Ultima cosa, un flash, un accenno sui miei scatti solo per definirli nudi e crudi con quell’attitudine unica che spero si percepisca attraverso la band, la location e le facce dei presenti.
(Txt & Pics Giuseppe Picciotto x Salad Days Mag – All Rights Reserved)
Dead Like Juliet + Deez Nuts + Stick To Your Guns @ Legend Club, Milano – photorecap
May 9, 2024 | Salad DaysDead Like Juliet + Deez Nuts + Stick To Your Guns @ Legend Club, Milano – photorecap
Pictures by Alberto Bocca x Salad Days Mag – All Rights Reserved.
A Place To Bury Stangers + Patriarchy @ Retronouveau, Messina – recap
April 26, 2024 | Salad DaysUn effluvio di feedback, distorsioni elettriche a più non posso, volumi così assordanti da sembrare in balia delle rapide di un fiume con le onde che ti sommergono e non ti lasciano scampo…
…strobling light diretti e a tratti ossessivi da farti stare col capo chino come in uno stato di sottomissione, sentirsi attraversati da mille scariche elettriche e rendersi conto di essere poco più che una carta da parati. Queste, probabilmente, le sensazioni che ho provato, sotto al palco, ad “ascoltare” il live degli A Place To Bury Strangers, un’esperienza che si misura nella quantità piuttosto che nel singolo momento. Tracciare una rotta è difficile, si è completamente presi e compresi da tutto quello che si sente e si vede, perché anche il palco è un posto martoriato, invaso da cavi, pedali e chitarre, una delle quali segata a metà, l’altra rotta durante un brano con fare clashiano. E un pensiero attraversa la mente: dove ho lasciato i tappi per le orecchie, dove???
Prima degli APBS (provenienti dall’altra parte della costa americana) calcano il palco i californiani con base a Los Angeles: Patriarchy. Materia oscura che si è plasmata e rivelata in uno show mozzafiato dalle ritmiche gommose ma sferraglianti, marziali ma stralunate, poppeggianti ma ruvide, anzi luride! Era difficile togliere gli occhi di dosso da Actually Huizenga e H3X3N per vie delle loro movenze da sexy zombies, i due hanno creato sul palco, nei loro 45 minuti a disposizione, un’interpretazione diretta e sfrontata contro il comune senso di disprezzo verso il patriarcato, recitando, nella loro stranezza occulta, uno sfogo che si è spinto sin dentro l’anima dei presenti.
Serate di questo genere è impossibile che ti lascino indifferenti, anzi, ti segnano a fondo ma, soprattutto, difficile che si possano dimenticare nel tempo. La musica è il tramite di tutto ciò, che sia sotto forma di rumore o di qualsiasi altro aspetto è il connubio che lega quelli sul palco a quelli che stanno sotto. E tutto questo passa attraverso quello sopra descritto.
(Txt & Pics Giuseppe Picciotto x Salad Days Mag – All rights Reserved)
Meet Skate Legends @ Orefici 11, Milano – photorecap
April 25, 2024 | Salad DaysMeet Skate Legends @ Orefici 11, Milano – photorecap
Pictures by Alberto Bocca x Salad Days Mag – All Rights Reserved.
Knocked Loose / Deafheaven / Headbussa @ Live Club, Trezzo Sull’Adda (MI) – recap
April 12, 2024 | Salad DaysSuper appuntamento, per tutti i gusti e le età, quello organizzato nello storico Live di Trezzo un piovosissimo giovedì di febbraio:
…tralasciando (sorry about that) gli Headbussa, di cui purtroppo o per fortuna “I do not give a fuck”… la line up mette assieme i super affermati paladini del black/shoegaze/hipstercore Deafheaven con i super boomers (non nel senso di generazione… nel senso che sono proprio ESPLOSI) del new hardcore ammmericano Knocked Loose. Il lavoro del “giornalista”, soprattutto di uno che ne ha viste tante, sarebbe quello di non lasciarsi travolgere dall’entusiasmo dei kids piuttosto che dall’hype dei vari promoters/media/stampa etc etc. Il lavoro del “giornalista” sarebbe quello di dare qualche umile dritta, di modo che il prossimo concerto nella venue in questione vada meglio, se possibile, di oggi.
Quindi. TANTE luci e QUALCHE ombra. Deafheaven. Luci: loro, i Deafheaven. Come sopra, i Deafheaven sono affermati. ASSODATI. Un loro concerto è da vedere, punto. Il suono del black metal con l’attitudine californiana. Il nero che si incontra con il rosa. Qualcuno qui storcerà il naso… ma alla loro maniera i Deafheaven con ‘Sunbather’ hanno fatto la storia. PUNTO. Cinque pezzi. Due da ‘Sunbather’, due da ‘New Bermuda’, più ‘Black Brick’. Una scaletta del genere può essere vista come un “ripudio” delle loro ultime cose? Maybe. Ma maybe, più semplicemente, Clarke e i suoi compagni hanno pensato che una combo del genere fosse perfetta per il ruolo che hanno in questo tour: sono il supporto, ma sono i Deafheaven. Quindi: io li voglio impressionare ‘sti regaz/fan dei Knocked Loose!
Luci. Clarke, e lo dico da quando l’ho visto al Magnolia, tour di ‘No Bermuda’, direi, è come Brad Pitt… FIGHISSIMO… ma proprio FIGHISSIMO in senso “sessuale”, e lo dico da etero. Luci. La band. Con gli anni, thanks God, hanno perso quella “allure” hispter, quasi “forzata” che molti, soprattutto nel metal e nella “vecchia scuola” hc, non sopportavano. Ombre. Purtroppo la location, per una volta, non è stata all’altezza della musica dei Deafheaven.
Partiamo dai suoni. Qualcuno, i più democristiani, hanno usato la parola “strani”. Altri, i più entusiasti, hanno scritto che le cose si sono sistemate in corso d’opera… al secondo/terzo pezzo (cazzo! Vuol dire a metà concerto!). Io, che ho 50 anni quindi andatevene affanculo, sostengo che i suoni sono stati pessimi. Non si capiva niente… o si capiva poco. Con un’aggravante… “va bene, allora guardiamoceli da lontano, così ci godiamo lo spettacolo”.
What the fuck! Due tamarrissimi schermi con il logo del Live ben illuminato… due schermi – dicevo – ai due fianchi della scena, toglievano ogni magia al tutto… disfatta. TOTALE. Lo dico al Live. Come lo dico al Barrio’s. Please, NO SCHERMI con la gente che suona.
Knocked Loose. Luci: loro, i Knocked Loose. Ultimo Salad Days, parlo del cartaceo. Mi è piaciuta molto la definizione che Ciaramitaro ci ha dato della sua musica, quella dei suoi Drain. “…come se Pantera e Terror facessero un bambino! Siamo il baby di Pantera e Terror…”.
Partono i Knocked Loose, ci guardiamo col mio compare di concerti… la prima cosa che mi viene in mente? Come se Limp Bizkit e Pantera facessero un bambino! Sono il baby di Limp Bizkit e Pantera. Questo, per chi non li conoscesse, dovrebbe bastare a “collocarli”. Suoni MOOOOLTO AMMMMERICANI, attitudine sballona.
Cito Gue… yes, quello del Club Dogo, per capirci: “…sono tornato per sfondare le casse… svuotare le casse… quando passo un tornado… faccio storia con le rime… do steroidi alle rime… ho gli asteroidi e le stelle vicine…”. Barre perfette per descrivere i Knocked Loose.
E, diciamolo. Sono talmente figli di Pantera e Limp Bizkit, che quegli schermi, quelli di prima, quelli col logo del Live, in questo caso sembrano messi lì apposta! Luci. Il pubblico. Trasversale in genere e generi (you know what I mean). Ho passato anni della mia vita a guardarmi attorno e vedere solo maschi alfa nel pit.
Le uniche tipe ai concerti? Fotografe. Qualcuna, ogni tanto, al banco del merchandise. Se il fattore “Limp Bizkit” ha portato più ragazze nel pit… io sono contento. E, alla faccia de “era meglio quando andavo a vedere i Pantera”… lo dico… con gli steroidi… “HO UNA CERTA INVIDIA!”.
(Txt fmazza1972; Pics Luca Secchi x Salad Days Mag – All Rights Reserved)
Andrea Rock And The Rebel Poets interview
April 11, 2024 | Salad DaysAndrea Rock And The Rebel Poets pubblicano un nuovo EP intitolato ‘Mnà’, un concept su quattro figure femminili importanti nella cultura e storia irlandese.
Mescolando il punk con il folk della terra di smeraldo, si sono creati un nome grazie al proprio sound ormai formato e riconoscibile. Abbiamo intervistato Andrea Rock per approfondire la storia dietro questo nuovo EP.
SD: Andrea, ci piacerebbe sapere quale sia stata la tua personale connessione con le storie delle quattro donne irlandesi che avete scelto di raccontare nel vostro nuovo EP ‘Mnà’. Da dove sei partito? Come hai scelto queste quattro storie?
AR: L’Irlanda, la sua storia, i suoi protagonisti, la sua cultura, sono per me oggetto di studio costante e quindi sono sempre stimolato dalle mie ricerche personali. Nello specifico su questo disco,la prima donna alla quale ho pensato è stata Constance Markiewicz, la cui storia mi affascinò sin dal primo momento in cui mi avvicinai alla compagine dell’Insurrezione di Pasqua del 1916. Inoltre proveniva dalla contea di Sligo, alla quale sono legato per tutta una serie di motivazioni.
SD: Quando si tratta di fondere punk rock e musica tradizionale irlandese, il vostro nome è sicuramente in cima alla lista. Quale sfida vi ha entusiasmato di più nel creare il vostro unico sound in questo progetto? Come si è evoluto nel tempo?
AR: Il nostro obiettivo è sempre stato quello di distinguerci dal resto delle proposte di genere, in primis a livello di contenuto e in secondo luogo con un suono che è ancora oggi in evoluzione. Le tematiche che trattiamo sono spesso molto pesanti e per dare forza a quei sentimenti, ci capita in alcuni casi di spingerci un po’ più in la con la resa sonora, incorporando qualche elemento derivante anche dalla scena folk metal di gruppi quali i Cruachan.
SD: Raccontaci un pò del processo creativo dietro ‘Mnà’. Come avete trasformato le storie e le esperienze di queste donne irlandesi in tracce musicali coinvolgenti, senza diventare didascalici e estremamente prosaici?
AR: L’aspetto musicale è stato interamente gestito dai musicisti del gruppo: Ivan Marconi al basso, Luca Taglietti alla chitarra, Andrea Merlini alla batteria e Lorena Vezzaro al violino. Io mi sono trovato quindi a scrivere tutte le linee melodiche e ovviamente i testi. Sono partito dai libri in mio possesso, dalle dichiarazioni delle stesse protagoniste di quei racconti e dalle analisi profuse dai diversi studiosi della questione irlandese. Alcuni frasi pronunciate dalle stesse, erano già dei veri e propri inni e hanno facilitato il percorso creativo. Il lavoro più complicato è stato strutturare metricamente
quelle sentenze, senza modificarle e senza mai perdere il senso della forma canzone.
SD: Il violino di Lorena Vezzaro aggiunge una dimensione davvero speciale al vostro suono, spostando l’asse dal punk al sound dell’irish folk. Cosa ti ha attratto in particolare nell’integrare questo strumento nella vostra musica?
AR:Lorena è la musicista più dotata che io conosca. Ha studiato l’irish fiddle e si è diplomata al Conservatorio di Milano. Ha una sensibilità artistica unica ed è in grado di tradurre il clima dei brani e dei testi in music sempre coinvolgenti e mai banali. E’ il nostro fiore all’occhiello, nonché la nostra quota tradizionale.
SD: Lo storytelling sembra essere una parte essenziale del vostro approccio musicale. Qual è stata la storia o l’esperienza di una delle quattro donne di ‘Mnà’ che ti ha colpito di più personalmente durante la creazione di questo EP?
AR: Come scrivevo, la figura di Constance Markiewicz mi ha sempre affascinato. Quasi contemporaneamente però volevo parlare anche delle vittime innocenti del conflitto, perchè quello che sta avvenendo nel mondo purtroppo è sotto gli occhi di tutti e la causa palestinese è da sempre legata a doppia mandata a quella indipendentista irlandese; per questo motivo, il secondo brano sul quale ho voluto lavorare racconta la storia di Julie Livingstone, vittima dei Troubles in Irlanda del Nord, deceduta a causa di un plastic bullet esploso dalle forze di polizia britanniche, all’età di 14 anni.
SD: Al di là della musica stessa, c’è un messaggio o un impatto che sperate che questo disco lasci nel cuore degli ascoltatori? L’avete pubblicato l’8 Marzo, una scelta sicuramente non casuale…
AR: L’Irlanda prima di altri Paesi nel mondo ha saputo esaltare la figura della donna, anche attraverso esempi illustri come quelli citati nel disco. Noi speriamo sempre che queste storie suscitino un’emozione, meglio ancora che diano “fastidio” in quanto percepite come ingiustizie sociali. Quando in occasione della recente scomparsa della regina d’Inghilterra, ho espresso il mio pensiero in merito al sistema imperialista e schiavista che la Corona inglese ha perpetrato per anni, alcune persone hanno scelto di abbandonare la sala concerti; in quell’occasione abbiamo suscitato una reazione forte e il nostro messaggio è arrivato chiaro e diretto.
SD: Infine, come credi che la vostra musica possa contribuire a mantenere viva la memoria e l’eredità delle figure storiche come le donne irlandesi che avete scelto di celebrare in questo EP o a farla conoscere in un Paese come l’Italia?
AR: L’obiettivo e la speranza sono sempre che la gente non si fermi al fatto che i brani siano orecchiabili o ballabili, ma non è qualcosa che può avvenire esclusivamente attraverso la pubblicazione di un disco. Spazi come quello che mi stai concedendo mi permettono di raccontare il progetto nella sua totalità e magari incuriosire qualcuno. Esattamente come un podcast ben strutturato (suggerisco ‘Troubles – Una Storia Irlandese’ di Samuele Sciarrillo), la musica ha la capacità di raccontare storie, ma anche di cantarle a squarciagola con il cuore che batte e gli occhi lucidi.
(Txt Gab De La Vega)
Lord Apex @ Circolo Magnolia, Segrate (Mi) – photorecap
March 29, 2024 | Salad DaysLord Apex @ Circolo Magnolia, Segrate (Mi) – photorecap
Pictures by Alberto Bocca x Salad Days Mag – All Rights Reserved.
Madbeat interview
March 25, 2024 | Salad DaysA pochi mesi dall’uscita dell’ottimo ‘La Ballata Dei Bicchieri Vuoti’, abbiamo intervistato i Madbeat di Torino!
I Madbeat sono una band che nel corso degli ultimi 10 anni si è creata una solida fanbase e ha saputo produrre dischi dall’identità molto forte, portando nuova linfa nel cuore del punk rock italiano. Buona lettura!
SD: Ciao ragazzi! ‘La Ballata Dei Bicchieri Vuoti’ è appena uscito e sembra essere un vero capolavoro punk rock. Ci raccontate di qualche momento particolarmente intenso o emozionante durante la creazione di questo album?
M: È avvenuto tutto in fretta. Abbiamo cominciato a scrivere il disco a fine 2022 e ci siamo resi conto che sarebbe stato il disco dei 10 anni della band. Questo ha influenzato particolarmente tutto il mondo che conoscevamo in quanto a scrittura di un disco. Per alcuni versi è stato un bene: genuinità dei contenuti, influenze più spontanee ecc. mentre per alcuni versi è stato difficile: ritmi serrati, sessioni lunghe di studio in preproduzione e poi in incisione. Abbiamo per la prima volta lavorato con un produttore (Fabio Valente) che ha saputo darci i consigli giusti per risaltare quello che ancora non si era sentito su un disco dei Madbeat e sicuramente le ore in studio da lui sono state intense e costruttive. Diciamo che l’esperienza di questo disco è stata anche troppo intensa, ma soddisfacente.
SD: Ascoltando il vostro nuovo lavoro, si sente davvero un’energia travolgente. Ci sono stati dei momenti in cui avete sentito di aver catturato perfettamente ciò che volevate trasmettere attraverso la vostra musica?
M: Trovo che raccontando la verità quotidiana si colpisce sempre qualcuno. Ognuno ha le sue gioie e dolori e spesso sono fasi che accomunano tante persone. Ci sono dei passaggi di testo che hanno colpito in particolare qualcuno (che ce lo ha comunicato dopo l’ascolto) e questo è sempre emozionante. Le persone si frequentano per anni senza conoscersi mai, e quando una frase di una canzone gli rimane aggrappata addosso vuol dire che quella singola esperienza raccolta in 4 parole è stata vissuta esattamente come l’hai vissuta tu e gli è bastato leggere una frase per capirlo.
SD: Con così tante tematiche affrontate nel disco c’è un brano che sentite abbia una connessione particolare con voi o che racconti una storia personale in modo straordinario? Se sì, potreste condividere un po’ dietro il significato di quel brano?
M: Credo che ‘Dannato Cuore’ sia quella più accomunante tra noi della band. In questi anni abbiamo (come tutti i gruppi) condiviso moltissimo, problemi, gioie ed esperienze. L’accomunanza era che ne parlavamo alle prove, in furgone in tour, dopo i concerti, ritrovandoci a fare sacrifici per essere li in quel momento. ‘Dannato Cuore’ parla di questo, del fatto che c’è qualcosa che sta dentro di noi e che non conosciamo benissimo, ma che ci spinge ad essere sempre li. “E dimmi che super potere hai per farmi andare di corsa”.
SD: Collaborare con artisti della scena underground per questo album è stata sicuramente un’esperienza unica. Ci sono delle storie divertenti o aneddoti interessanti che volete condividere riguardo a queste collaborazioni?
M: Beh con Fabio è stato facile, la prima canzone che abbiamo chiuso (‘La Strada Più Dura Che C’è’) esprimeva un concetto che conosciamo benissimo. Noi pieni di impegni e carichi di tutte le difficoltà che ha una band piccola come noi, lui pieno di lavoro, trasferte, impegni familiari, abbiamo condiviso insieme l’esperienza raccontata in questo testo… ovvero l’ostinarsi a percorrere la strada più difficile, quella che ti porta ad affrontare sempre e comunque delle decisioni impegnative che mettono da una parte le passioni e dall’altra i punti fissi della tua vita. Con Michele abbiamo semplicemente iniziato a condividere pareri. Lui è uno scrittore incredibile e il fatto che abbia voluto condividere con noi ‘Figli Delle Banlieue’ è stato per noi un onore. Inconsciamente da una chiaccherata con lui è nato il testo e il significato di ‘Per Un Goal Nel Derby’ a dimostrazione di quanto sia semplice trovare l’ispirazione giusta quando ti confronti con una persona che sa benissimo come si scrive una canzone.
SD: ‘La Ballata Dei Bicchieri Vuoti’ sembra essere un album che tocca molti nervi scoperti della vita quotidiana. Qual è il messaggio più profondo che sperate i vostri fan possano cogliere ascoltando questo lavoro?
M: Non credo che ci sia un messaggio. Non mi sono mai sentito autorizzato a dare consigli alle persone. Piuttosto racconto quello che è successo facendo i miei sbagli. Ognuno puó trarne qualcosa o semplicemente condividere quell’esperienza. Non credo che la gente cerchi nelle canzoni una soluzione, ma piuttosto un’immagine che gli sblocca qualcosa forse bello o forse no. Spero che la gente me lo dica se ha scoperto un messaggio che inconsciamente abbiamo dato.
SD: Oltre alla pubblicazione dell’album, avete qualche sorpresa in serbo per i vostri fan? Forse dei tour o degli eventi speciali che potremmo aspettarci?
M: Beh sicuramente concerti. Stiamo cercando di rimetterci in pista su quel fronte, anche se con tutte le difficoltà del caso. Sicuramente qualcosa ci verrà in mente nel frattempo ma per ora siamo concentratissimi sulle date.
SD: Guardando al futuro, quali sono le vostre ambizioni più grandi come band? C’è un obbiettivo che avete sempre sognato di raggiungere nella vostra carriera musicale?
M: Gli obbiettivi sono da sempre suonare e cercare di arrivare più lontano possibile. La fame di far conoscere la propria musica a tutti, suonare su grandi palchi, scrivere canzoni che si ricordano al primo ascolto… credo siano sogni in comune che hanno in molti.
(Txt Gab De La Vega x Salad Days Mag – All Rights Reserved; Pic Georgette Pavanati)
Iggor Cavalera & Laima Leyton + K.V.A. @ Nü Land, Catania – recap
March 19, 2024 | Salad DaysC’era molta attesa/curiosità, per il terzo e ultimo step del Rocketta Winter Festival: sul palco del Nü Land di Catania si sono esibiti Iggor Cavalera & Laima Leyton.
Per chi mastica anche un minimo di musica metal il nome di I(g)gor Cavalera viene subito ricondotto a quello dei brasiliani Sepultura, band che non ha bisogno di presentazioni e che si è contraddistinta, soprattutto nel periodo in cui il nostro Iggor era alla batteria e suo fratello Max alla chitarra e voce, come una delle più tenaci e originali formazioni di death/thrash metal del pianeta; Iggor, ormai da tempo, ha anche intrapreso altri sentieri che lo hanno portato sul terreno fertile della musica elettronica e, infatti, insieme alla moglie (dj e producer) Laima Leyton sono titolari del progetto Mixhell, sorta di frullatore remix e dj set dove tutto può accadere, in più, sempre insieme, militano nella band belga dei fratelli Dewaele, i fenomenali Soulwax, portando dal vivo ancora più carisma e eclettismo al suono già di per se caleidoscopico.
Perciò, dicevamo, c’era molta attesa per questo evento, e parte del pubblico, approfittando dell’occasione, ha portato da casa con sé vinili dei Sepultura per fare apporre la firma del batterista, inoltre il duo, sia prima che dopo l’esibizione, si è concesso anche a svariati selfie che venivano loro richiesti. La sala, comunque, pur piena, non ha raggiunto il sold out (il fattore infrasettimanale giocoforza ha avuto i suoi riscontri…). Il pubblico era molto eterogeneo (metallari, falsi metallari e gente che voleva divertirsi e ballare con un bel dj set) e nel complesso ha gradito quanto visto, anche perché è stato davvero un gran vedere.
Il set, imbastito dai due coniugi, si è basato su circa 80 minuti di intrattenimento: la parte iniziale è stata caratterizzata da suoni molto astratti e viscerali che si sono mischiati a ritmi tribali e ipnotici prodotti da Iggor con la sua batteria, dopodiché i due, per circa 45 minuti, hanno tirato fuori un dj set spettacolare dove i suoni si sono stratificati portando così a un livello superiore la musica: techno a toni industrial/noise, house sfacciatamente FM a slogan politici e substrati ambient a ritmi sincopatici e feroci.
Il cerchio si chiude riportando Iggor alla batteria per altri 15-20 minuti finali dove una sorta di cover/remix di pezzi, tra i quali di NIN e Aphex Twin, sono stati martoriati e reinventati con la potenza e fantasia del batterista brasiliano. Finale, dunque, esplosivo e infernale cosa che è stata gradita molto dai partecipanti (un bel brano remix dei Sepultura sarebbe stato, secondo me, la ciliegina sulla torta… pensateci Iggor e Laima).
Si può aggiungere, a quanto finora detto, che questo tipo di spettacolo con l’innesto di strumenti dal vivo (in questo caso la batteria) è un valore aggiunto e anche che il background del nostro, vuoi o non vuoi, esce fuori e l’essenza metal/tribale si è più volte manifestata a servizio di ritmi sorprendenti e di un sound pregevole.
Altra cosa molto gradita è stato il warm up della serata affidato a Keep Vinyl Alive (i dj PUL, Pillin & Aeffe), una vera e propria live vinyl performace con vinili “suonati” e mixati in tempo reale, selezione arricchita da chicche sold out e resa ancor più esclusiva da una label-tribute per Deewee: a girare, infatti, release di Soulwax, Laima Leyton, Emmanuelle, Sworn Virgins, Bolis Pupul solo per citarne alcuni! BOOM!!!
(Testo e foto di Giuseppe Picciotto x Salad Days Mag – All Rights Reserved)
Headbussa interview
March 15, 2024 | Salad DaysLa conversazione attorno all’hardcore punk dei ruggenti 2020s sta vertendo sempre di più attorno alla sua iterazione più primitiva e brutale: quello che tra un groove galoppante ed una sediata in faccia ci troviamo a descrivere come Beatdown Hardcore.
L’Europa del nord ha proposto negli ultimi anni uno zoccolo duro di band che gettano nel calderone NY Hardcore, metalcore anni 90 e DM classico. Questo filone capitanato da band tedesche come Spawn Of Disgust e World Of Tomorrow è spesso caratterizzato da un’estetica urban ed un’attitudine hip-hop, nonchè responsabile per lo spopolare della mosh culture estrema, tra callout esagerati e breakdown infiniti. Il nord Italia, dal canto suo, propone il proprio succulento menù beatdown grazie a collettivi come Pavia Hardcore (PVHC), che importano il culto della fight music con una serie di progetti tra cui Jorelia, Display Of Violence e Terrorist.
In occasione del concerto dei Knocked Loose + Deafheaven al Live Club di Trezzo abbiamo avuto l’occasione di testare anche il territorio francese facendo una chiacchiera sullo stato dell’hardcore europeo assieme all’opening act della serata: gli Headbussa, fieri rappresentanti della musica parigina da combattimento.
Loic e Gaultier, rispettivamente voce e chitarra del gruppo, ci raccontano come la loro band sia finita in supporto di una produzione così enorme, scelti come spalla dei Knocked Loose proprio durante il loro picco di popolarità. “È semplicemente fantastico perché abbiamo ottime condizioni ogni giorno. Abbiamo il backstage, ceniamo, abbiamo un posto dove dormire. Quindi è abbastanza diverso da quello a cui siamo abituati.”
Da dentro la sala alle nostre spalle, sentiamo i Deafheaven iniziare il set con ‘Brought To The Water’. “E’ la prima volta al di fuori del DIY per tutti noi, ed è un’esperienza incredibile”.
Quando il team dei Knocked Loose gli ha proposto il tour via e-mail, lo ammettono, hanno pensato si trattasse di spam. Gli Headbussa erano già stati contattati dal team dei Knocked Loose lo scorso inverno per partire il giorno seguente e fare 4 date blitz in Germania, ma il poco preavviso glielo aveva impedito. “Quando vai in una città si capisce subito se c’è una scena hardcore o meno da come si comportano le persone nel pubblico. La Germania ha un’enorme scena beatdown, ma anche in Francia, specialmente a Parigi, un sacco di nuove band propongono tanti stili diversi di hardcore.”
La band suggerisce qualche ascolto al pubblico italiano: Worst Doubt, con cui condividono dei membri, Cold Decay, Sulfur, Broken Ankles e Take It in Blood. “Come con ogni tendenza, in Francia siamo in ritardo di qualche anno, quindi il beatdown sta spopolando soltanto adesso a partire da Parigi e Lione, e poi nelle città più piccole spuntano scene locali.”
Possiamo dire praticamente lo stesso per noi, ed infatti domandiamo se come nella scena italiana ci siano una schiera di band composte dagli stessi membri che scambiano gli strumenti tra loro con ogni formazione. “Sì, è proprio così. La maggior parte di noi ha più di 30 anni, o quasi, e abbiamo fatto tutte le nostre band giovanili con membri che erano diventati troppo vecchi.” Loic si corregge, “Non troppo vecchi! Non si è mai troppo vecchi. Ma molti di noi hanno dei figli, hanno un lavoro. E così quelli che non lavorano, o con dei lavori che ci permettano di fare tour del genere e creare un sacco di cose, finiscono per fare musica insieme.”
La band si complimenta con il pubblico italiano nel modo più lusinghiero che un fan di questo genere possa ricevere: “Sembrava di stare in Germania, mosse incredibili stasera!”, e concludiamo promettendo che avremmo riferito a chi di dovere. Gli standard sono altissimi – bisognerà moshare più forte quando ci incontreremo di nuovo.
(Txt Vittoria Brandoni; Pics Luca Secchi x Salad Days Mag – All Rights Reserved)
Corpo Estraneo interview
February 23, 2024 | Salad DaysSeguiamo con grande attenzione Devarishi, in particolar modo da ‘Wrong Place, Wrong Time’. Per storia dei personaggi coinvolti, attitudine, spessore, qualità, penso fosse difficile ripetere un exploit come il ritorno degli Incudine.
Invece BUM! Ecco l’asso nella manica. In uscita, sempre su Devarishi, ‘Il Tempo E’ Adesso’, super disco della nuova sensazione (non milanese, strano!… strano per davvero/NDR) in ambito hardcore “puro”, hardcore classico, Italian old school hardcore come piace a me: a voi i CORPO ESTRANEO!
SD: Partiamo dal nome. Mia madre (prof) mi diceva che quando si riesce ad essere efficaci usando delle parole di uso comune, quello vuol dire saper comunicare. Corpo Estraneo, in questo senso, è “perfetto”. Come nascete? E come esce fuori il nome, anzi quel nome?… il Corpo Estraneo siete voi?? Noi (che ascoltiamo musica hc)? Chi?
CD/CE: Hare Krisna a tutti, grazie per lo spazio! Qui Caitanya Das, voce e chitarra dei Corpo Estraneo! Come band nasciamo a gennaio 2021, mi pare fossimo nel mezzo del secondo lockdown. Nell’apatia e nella noia di quel momento storico abbiamo sentito l’esigenza di fare qualcosa e quel qualcosa è stato suonare, principalmente come sfogo e come bisogno – letteralmente – di respirare. Io suono all’interno della scena hc da quasi 20 anni, così come Cicco (batteria), mio best friend e colonna portante di altri progetti che abbiamo avuto in comune. Un po’ per l’amicizia storica che ci lega e per la sua bravura dietro le pelli è sempre stato la mia prima opzione in ogni progetto che mi è venuto in mente di fondare. Mi è venuto naturale chiedere a lui se aveva voglia di fare qualcosa. Anni addietro (2010) avevamo condiviso un progetto chiamato Grinta, nato come side project parallelo ad altre band; una cosa un po’ alla buona, fatta giusto per divertirsi, ma con un bel tiro. Suonavamo una sorta di HC / grind molto tirato, con pezzi ultra corti (dai 5 secondi, al minuto scarso), ad ogni prova riuscivi a comporne 10 diversi! Una sorta di powerviolence primitivo, quando ancora si sapeva poco a riguardo. Ci sarebbe piaciuto focalizzarci su quello, rispolverare i pezzi e darli alla luce. Al basso si è subito aggiunto con entusiasmo il buon Leo, amico e giovane promessa, alla sua prima esperienza musicale seria. Fortuna vuole che abitiamo tutti vicini, e la base dove proviamo – il Vecchio Son del buon Steno dei Nabat – è praticamente sotto casa nostra. Logisticamente è stato tutto congeniale, insomma. Siamo perciò partiti con l’idea di dare un proseguo ai Grinta ma presto ci siamo resi conto che a livello comunicativo era un po’ complicato con dei pezzi così corti. C’è stata da subito la volontà di fare un gruppo che avesse qualcosa da dire, soprattutto visto il periodo buio ed instabile che si stava vivendo nel mondo. Così abbiamo accantonato l’idea del gruppo super veloce in favore di qualcosa di più disteso ed “orecchiabile” (non so se ci siamo riusciti!). Comunicare per noi è estremamente importante, per citare la tua mamma. La band ha uno scopo preciso, non è solo svago e divertimento. “Corpo Estraneo” era il titolo di uno dei nostri primi pezzi nuovi e mi son subito reso conto di quanto potesse essere potente anche come nome per la band. Suonava assolutamente bene ed è brutalmente hardcore! Ovviamente un Corpo Estraneo è qualcosa di scomodo, qualcosa di esterno alla propria realtà, qualcosa che si è in qualche modo infilato sotto pelle e che crea disturbo. Sicuramente lo si può intendere come qualcosa di fastidioso che si è conficcato nel corpo della società e che vive di vita propria, crea spazi, consapevolezze, cresce e che si cerca di estirpare. Io ci ho visto subito anche un significato più sottile: il corpo materiale che ci ricopre è in realtà la “prigione” di quello che siamo realmente, ovvero un’anima spirituale, divina; questo corpo quindi è qualcosa di estraneo all’anima. Siamo quindi tutti corpi estranei, se ci identifichiamo erroneamente con esso!
SD: Parlando della vostra storia, in questo ultimo anno (penso) avete aggiunto una chitarra. Parlavo con Gianluca Mariani/Spaghettochild, qualche tempo fa, dell’hc suonato con due chitarre. Per farla breve. Secondo lui (o forse secondo noi?), nell’hc, a meno di gente di un altro pianeta come gli RKL, le due chitarre servono essenzialmente ad aumentare l’impatto, il “volume”, la potenza “in uscita”… non tanto ad abbellire (parlo di assoli che si inseguono, tipo metal per intenderci). In che ottica/con che idea avete deciso di aggiungere una chitarra? Per una questione di “botta”?? Per “sgravarti” un attimo, visto che tu canti?
CD/CE: Che bomba gli RKL (questo pezzo lo pubblichiamo subito grazie a questa password che vi fa accedere al sistema/NDR)! Ma tornando a noi: l’aggiunta di Bolo è stata soprattutto per una questione di amicizia e di affinità spirituale. Io e lui abbiamo condiviso sala prova e palco agli inizi dei Chains, dove io suonavo il basso. È un chitarrista affidabile, con una solida esperienza alle spalle e quindi siamo stati entusiasti quando ci ha chiesto di essere della partita. Sicuramente lui ha aggiunto tutti gli elementi che elenchi tu nella domanda. Avere lui vicino mi permette di concentrarmi meglio sulla voce e il risultato finale dal vivo è decisamente più croccante e d’impatto. Inoltre su disco ha contribuito con tanti elementi che han reso il prodotto finale ancora migliore, a mio avviso. Gli assoli non ci sono perché non li so fare, ma non è detto che non possano arrivare!
SD: Se facciamo un gioco tipo quelli di logica… Sottopressione anni ‘90… Skruigners anni ‘00… NON LO SO anni ‘10… Corpo Estraneo anni ‘20. Dico bene? Cosa vi accomuna secondo me? Tutti fate hardcore “puro” (no new school, per intenderci), suonato DA PAURA… REGISTRATO DA PAURA… cantato in italiano. Vi vedete in questa linea temporale? Vi vedete nella descrizione di cui sopra (l’importanza del SUONO, CAZZO). E chi mettereste negli anni ‘10 (forse i La Crisi… anche se sono “diversi”… non proprio DRITTI come tutti gli altri)? Oppure… chi mettereste al posto di quelli miei?
CD/CE: Non mi ero visto come continuazione di tutte quelle realtà ma sicuramente condividiamo tanti aspetti e son stati tutti – chi più, chi meno – tra gli ascolti di tutti noi. L’hardcore alla vecchia maniera è sempre stato un mezzo efficace, è divertente da suonare e da ascoltare e si presta bene ai messaggi che portiamo. Per quanto riguarda il suono crediamo fermamente che vada curato, sia in saletta che in studio, ma anche dal vivo. Noi cerchiamo di provare con regolarità proprio per affilare il nostro suono, la chimica, la carica. È l’espressione con cui ti stai ponendo al pubblico e visti i tempi veloci che stiamo vivendo credo sia necessario impressionare l’ascoltatore e catturarlo nel minor tempo possibile. Parlando di studi, Carlo del Toxic Basement Studio è maestro in catturare e dare impatto al sound. Dal primo giorno della band sapevo dove avrei voluto registrare i pezzi. Carlo è una componente importante nei Corpo Estraneo e sicuramente sarà un matrimonio destinato a durare. Rispetto ai nomi che hai fatto tu aggiungerei solo qualche nome della vecchia e gloriosa scuola italiana. Band che magari non avevano i mezzi tecnici per quanto riguarda i suoni ma avevano dalla loro chi la rabbia, chi la disperazione, chi la furia. Su tutti direi i Negazione, ma anche Wretched, Indigesti, Crash Box. E sì, metterei anche i La Crisi dove dici, a me son sempre piaciuti un sacco, anche se meno “dritti” di altri, come fai notare. Ma che potenza! Di gruppi affini ed attuali invece voglio citare i Sangue di Olbia, una vera cannonata di band! Ci sono i Nido Di Vespe, anche se il loro è un hardcore imbastardito da tanti elementi ma è pur sempre in italiano. E citiamo con piacere anche i Lyon Estates,
una realtà ben consolidata che è appena tornata con un disco nuovo!
SD: Domanda ovvia… l’italiano. è vero che è sempre meno “limitante” (vedi i Golpe che vanno in giro everywhere)… ma mi chiedevo se ci avete pensato… e nel caso perché non l’inglese.
CD/CE: La risposta è semplice: il sentimento. I testi che scrivo sono molto sentiti, frutto di ricerche, di intuizioni, riflessioni e meditazioni. Quindi per scrivere mi è venuto automatico usare la lingua madre, perché è la stessa con cui la mia mente realizza i concetti. Quando canto voglio esprimere agli altri le cose che sento e mi rendo conto che mi è più naturale farlo nella mia lingua originale, l’italiano. Abbaiare al microfono in inglese non avrebbe la medesima profondità, almeno per me. Per ora abbiamo suonato solo in Italia e io voglio comunicare qualcosa alle persone che ho davanti; perché il concerto non è solo uno spettacolo, è soprattutto uno scambio. Mi piace l’idea di lasciare chi ci ascolta con delle domande sulle tematiche che affrontiamo nei testi. Spesso si fatica anche solo a capire quello che uno dice al microfono, figurati se viene fatto in un’altra lingua. L’inglese io lo vedo come una forzatura, almeno nel contesto di questo gruppo.
SD: Tornando alla linea temporale di cui sopra… il fatto che non mi venga in mente un gruppo “key” negli anni ‘10 potrebbe anche voler dire che era un periodo di crisi (creativa… piuttosto che per il genere)… al contrario è oramai un fatto che siamo in pieno boom hc… secondo voi perché? Quando il mondo fa schifo non può che essere così? Oppure più semplicemente godiamo dell’onda di successo dei gruppi americani?
CD/CE: Sicuramente il mondo attuale offre tanti spunti di cui poter parlare nei testi. Siamo circondati da situazioni di crisi. Ed è proprio qui che noi come band abbiamo cercato una direzione diversa, che non fosse la solita “formula hardcore” di puntare il dito contro il sistema vigente, gli sbirri, le guerre o le infinite nefandezze che ci circondano. Se il mondo fa schifo è perché c’è un problema nella gente che lo abita. Un esempio: la guerra. È una cosa ingiusta, che tutti detestano, ma che la maggior parte delle persone si porta dentro, inconsapevolmente, ed ogni giorno ne scatena uno nel suo quotidiano. Quello che io vedo è che c’è tanto odio. E non è questo che voglio portare con la nostra musica. Non è con l’odio che si cambiano le cose. Io credo che quello di cui abbiamo bisogno è di lavorare su di noi in primis, destrutturando quei contenuti e quegli schemi che ci sono stati imposti ed insegnati fin dalla nascita alla ricerca della migliore versione di noi stessi. Necessitiamo di una rivoluzione di coscienze e questo passa forzatamente per un’evoluzione interiore. “O sei parte del problema o sei parte della soluzione” cantava il buon Claudio Rocchi. Noi, coi nostri contenuti, vorremmo provare ad essere parte della seconda opzione, tentando di ispirare chi ci ascolta. Rispetto alla scena americana non so granché, sarò onesto, ma mi sembra piuttosto scevra di contenuti, nonostante il contesto catastrofico in cui viviamo. Ultimamente vedo le band (non tutte chiaramente) che “usano” l’hardcore più come semplice mezzo per mettere in mostra sé stessi o per divertirsi e fare casino, piuttosto che per portare un qualcosa che rimanga alle persone. Nulla in contrario eh, ognuno è libero di fare quel che preferisce. Io però dedico i miei ascolti principalmente a gruppi che hanno un messaggio di fondo e che possibilmente non sia sempre il “fanculo qua, fanculo là, faccio quello che voglio, spacchiamo tutto” e via dicendo.
SD: Il track by track lo farà qualcuno più qualificato del sottoscritto. Io mi limito a citare due canzoni qualche suggestione dal nuovo disco. ‘Kurukshetra’ è una strumentale che inizia con quello che sembra un field recording preso da un qualche rito Hare Krishna… mi sono trovato CATAPULTATO al concerto degli Shelter, Cooperativa Portalupi… Sforzesca / Vigevano. Prima i devoti del tempio che ci “allietavano” con quei suoni, quelle atmosfere… e poi L’INFERNO. Primi anni ‘90 (da chiedere a Dario). Per molti di noi nati nei ‘70 quello è stato uno dei concerti “cardine”. Mi chiedevo se per voi suonare e porsi in quel modo è ancora attuale (ovviamente la risposta immagino sia sì)… è efficace… e perché? (in contrapposizione ad un modo più “frivolo e modaiolo”, tipo l’hardcore degli hipster, quello dei Turnstile per fare un esempio). I ragazzi vi stanno seguendo in questo percorso?? In altre parole. É un fatto che state crescendo in hype… ma per quel che riguarda il seguito? I numeri?
CD/CE: E’ attuale per noi, ma sicuramente non è più attuale nella scena. Indubbiamente il connubio tra spiritualità e hardcore si è molto affievolito negli anni, se non spento del tutto, almeno da noi. Mi sento di dire che l’hardcore un tempo era più riflessivo, introspettivo. Oltre che un movimento di ribellione era anche un movimento motivato da un certo spirito di “ricerca”. Ora mi sembra che ci si prenda molto cura dell’aspetto esteriore, del contenitore, e poco del contenuto. Si cerca di impressionare il pubblico più con lo show piuttosto che col messaggio. Non ci sono più i kids di una volta, con i kanthi-mala di Tulasi al collo! Scherzi a parte, mi rendo conto che attorno a noi c’è tanta curiosità ma anche tanto pregiudizio a causa della nostra proposta sicuramente poco in linea coi tempi e con la “scena”. Non abbiamo mai nascosto i nostri contenuti; se da un lato a qualcuno questo è piaciuto credo che parallelamente abbia dato fastidio a diversi. “Parlate di roba spirituale? Nah, non mi interessa” e questo magari senza neanche aver ascoltato nulla. Penso che questo sia anche a causa dell’influenza bigotta e ambigua che la Chiesa ha esercitato sulle nostre vite fin da giovani e che quasi tutti hanno rigettato. Quello di cui parliamo noi nei testi però è diverso, basato su altre concezioni e visioni. Ma se parli di spiritualità o di tematiche connesse a Dio qui da noi la gente tende sempre a storcere il naso. La nostra proposta è aperta ed accessibile a tutti, ma mi rendo conto che diversi avventori sono condizionati dal contenuto e tanti invece se ne stanno alla larga, avvelenati dai preconcetti. Penso sia un peccato ma che sia una cosa limitata al nostro paese. Vedo che negli altri stati i gruppi che propongono le stesse nostre tematiche vanno forte, hanno seguito e condivisioni. Il nostro compito è sicuramente più difficile ma questo non ci scoraggia, anzi, ci motiva maggiormente. Qui da noi purtroppo c’è un po’ l’idea di tenere Dio fuori da certi posti e contesti. Ma su quale base? Queste persone forse ignorano il background credente (ed i testi!) di band punk hardcore gigantesche come Bad Brains e Cro-Mags, per dirne giusto due. La cosa curiosa è che praticamente a tutti i nostri concerti mi son ritrovato a parlare con tante persone interessate all’argomento e con gente che medita, che fa yoga e che addirittura ha letto i testi sacri da cui traggo l’ispirazione per scrivere i nostri pezzi. La spiritualità è un percorso di ricerca, del porsi domande, del non accettare a scatola chiusa quello che ci viene proposto. Un po’ quello che fanno i punk rifiutando il modello di società che ci viene imposto e cercando di vivere in maniere indipendente da quelle logiche. Per quello io credo fermamente che ci sia attinenza, almeno nell’attitudine, tra le due cose. Io vorrei creare un ponte tra i due mondi, almeno qui da noi. In generale vedo che siamo seguiti ed apprezzati più da un pubblico adulto, piuttosto che dai ragazzi più giovani. Per quello che riguarda i numeri io personalmente credo che ogni singolo ascolto sia una vittoria e le cose sono obiettivamente in crescita. Vediamo che impatto avrà il disco ma sono fiducioso. Se avessimo voluto seguito ed apprezzamenti maggiori avremmo potuto trattare le tematiche della maggioranza delle band hc attuali o uniformarci un po’ allo stile musicale attualmente in voga. Ma non mi interessava fare niente di tutto questo. Trovo più intelligente cantare di una possibile soluzione (concreta!) anziché del problema o fare come fan tanti, cioè fingere che il problema non ci sia e usare la band come mezzo per vendere sé stessi o fare baldoria.
SD: Sempre ‘Kurukshetra’. È un INTRO. ed io sono un grande fan degli intro. Sono i pezzi dove ci si prepara… ci si “presenta”… si fanno i “convenevoli” e in qualche maniera ci si dà il benvenuto. Quindi innanzitutto BRAVI, amo gli intro! In secondo luogo a chi e perché è venuto in mente l’intro. Collegato all’intro, strumento tipicamente metal, ovvia domanda sul vostro rapporto con il metal, estremo e non… anche perché spicca una certa bravura nel suonare… che mi fa pensare appunto a certi ascolti.
CD/CE: Condivido la tua analisi sull’intro dei dischi! Anche io apprezzo molto! Mi sanno di benvenuto, di accoglienza! L’inizio di ‘Kuruksetra’ si prefigge di portare l’ascoltatore su di un campo di battaglia, popolato da migliaia di guerrieri in assetto da guerra sui loro carri che soffiano in conchiglie che annunciano l’imminente inizio della battaglia. Battaglia che comincia simbolicamente quando attacchiamo a suonare. È uno strumentale decisamente metal perché noi siamo fan di quelle sonorità. Ogni tanto spunta la vena metal e salta fuori qualcosa di spiccatamente thrash che nei pezzi hardcore forse stonerebbe, come è successo con ‘Kuruksetra’, appunto. Quindi nel nostro caso l’intro è un pezzo mancato! Abbiamo più o meno tutti nel background quel tipo di sound. Siamo (quasi) tutti fan del thrash metal, della velocità, della pulizia ma soprattutto dei riff granitici. I riff sono fondamentali nei pezzi e questo è uno dei miei capisaldi quando compongo qualcosa. Se un riff non funziona va cambiato, non lo si tiene se non è completamente soddisfacente. Il thrash penso sia la massima espressione del riffing selvaggio, sia veloce che pesante. Mi piace aggiungere qualche elemento un po’ più tecnico qua e là, soprattutto nei breakdown, per rendere il tutto ancora più aggressivo. Non mi ispiro a nulla in particolare quando compongo, cerco di mescolare gli elementi che preferisco dal background che ho costruito attraverso i miei ascolti. C’è tanto hardcore old e new school, hardcore melodico e thrash.
SD: L’altro brano? La title track. ‘Il Tempo E’ Adesso’. Anche qui… per uno di Milano nato con il 7 davanti il richiamo è SUPER… ‘È il Momento’. Sottopressione. Immagino che il motivo del richiamo non sia tanto (o non sia solo) un omaggio ai Sottopressione quanto sia approfondire i temi “tipici” dei vs. universi di riferimento… parlo di meditazione, consapevolezza… etc etc. Dico bene?? Quali sono i temi che avete a cuore?
CD/CE: Siamo stati spesso accostati ai Sottopressione e questo non può che farci piacere. Ho grande rispetto per chi è venuto prima di noi. Anche noi, come i Sottopressione, vogliamo che la “gabbia di vetro” (per omaggiare la tua citazione) al quale siamo dentro si rompa. Dal mio punto di vista questo può accadere solamente se ci poniamo le giuste domande con la giusta attitudine, altrimenti aperta quella rimarremo imprigionati in qualche altra gabbia invisibile. Ed il mondo ne è pieno, attualmente. Il tema principale del disco – che è anche il filo conduttore dei nostri testi – è la ricerca, la realizzazione del sé. Diciamo che è un po’ l’iter da seguire quando si vuole intraprendere un percorso di introspezione. Tutto comincia col porsi domande su sé stessi, sulla propria natura, sullo scopo e sul fine ultimo della vita umana. Il pezzo ‘Il Tempo E’ Adesso’ è un invito a cominciare subito questa ricerca, perché il tempo a disposizione di ognuno di noi non si sa quanto ancora può essere. In occidente c’è un po’ questa illusione di essere infiniti, immortali. E quindi si vive la vita buttando un sacco di tempo importante, senza poi realizzare nulla di concreto. I Veda ci insegnano che la forma umana è molto rara da raggiungere e quindi andrebbe sfruttata appunto per compiere questa ricerca, questa evoluzione. Senza di essa la vita è solamente un intricato ricircolo di piacere e sofferenza senza fine che ci incatenano e accecano sempre di più.
SD: Una riflessione (prendetela come un gioco, ok?) che faccio spesso (e che finalmente vedo fare anche da altri) con persone che bazzicano l’underground come il sottoscritto. Il fatto che molte delle battaglie o delle dinamiche tipiche del “nostro” mondo (animalismo / vegan / un certo tipo di salutismo legato al non consumo di cose che fanno male /… ma possiamo anche parlare dei semplici tatuaggi)… ce le hanno “rubate” (scusate la grezzezza… so che un argomento del genere avrebbe bisogno di qualche parola in più, ma penso sia chiaro). Questa cosa della meditazione… è un bel esempio. Fior fior di gente insegna ai manager di turno “la meditazione”… “la consapevolezza”… MINDFULNESS! Sono riflessioni di un vecchio? Cioè… se io sono uguale alla Pascale (per dirne una), io sono preoccupato!
CD/CE: Per sapere chi/cosa fosse la Pascale ho dovuto usare Google, perdonami! La tua analisi comunque è corretta. Tante cose tipiche della scena punk hanno travalicato i confini di quel mondo, arrivando nelle vite di tante persone anche lontane da quel contesto. Non penso sia una cosa negativa però, soprattutto per quello che riguarda il veganismo. Un tempo ero anche io più duro e puro sulla questione etica/consumi ma ho realizzato che in realtà è un bene che più persone si interessino all’argomento dei diritti degli animali. Io sono vegano da 14 anni e le cose son cambiate parecchio da allora, almeno sul piano dell’informazione. E anche sulla reperibilità dei prodotti, che aiutano molto chi si avvicina ad un certo tipo di scelta/alimentazione e ne agevola una eventuale scelta vegetale duratura. Come per le cose che hai citato tu anche la meditazione è stata sdoganata, hai ragione. Qualche occidentale ci ha visto lungo e ha deciso di portare – a suon di soldoni – delle tecniche che in Oriente sono in uso da centinaia di anni a persone totalmente ignare della loro esistenza. Siamo tutti troppo distratti da quello che ci circonda e riprendere in mano la nostra attenzione e la nostra consapevolezza credo possa aiutare tutti a stare meglio. Il punto è che non basta meditare o respirare, la meditazione deve avere un fine. E il fine non è solamente la pace dei sensi, perché questo può avere un beneficio sul momento presente, ma è pur sempre una cosa temporanea. Quello che viene insegnato il più delle volte è di concentrarsi sul respiro, sul lasciare andare i pensieri e via dicendo. Va bene farlo anche per questo, per carità, ma penso sia un po’ limitante. La meditazione dovrebbe essere un veicolo di realizzazioni su livelli più profondi della nostra semplice esistenza materiale e dovrebbe condurci ad una vita perennemente serena ed essere alla base di tutte le nostre attività. Nella tradizione che seguo si medita giornalmente sul Maha-mantra, il grande Mantra della liberazione, che secondo le scritture vediche è il solo metodo per liberarci dalle influenze dell’epoca malsana in cui stiamo vivendo. Non mi voglio dilungare troppo sull’argomento, se qualcuno è curioso può scriverci sui social e sarò felice di dare spiegazioni.
SD: Una domanda che sostituisce quella di cui sopra… così la facciamo finita? Cosa vi/ci rende un “corpo estraneo”?
CD/CE: La consapevolezza. Troppe persone vivono nel sistema inconsce di quello che gli capita attorno. Il sistema ha trovato il modo di entrare nella testa di tutti quanti e – come ha dimostrato la situazione pandemica di qualche anno fa – basta un niente per fare crollare miti e certezze di chiunque. Io voglio raggiungere la consapevolezza di quello che sono, di quello che devo fare e del fine ultimo di questa esistenza. Chi è consapevole, chi si fa domande, chi è alla ricerca dello scopo della vita è un corpo estraneo!
SD: Mi è venuta una bonus domanda… perché la cover di ‘Destinazione Paradiso’? A parte la scelta (il “povero” Grignani ha questa cosa del perdente che alla fine quasi “tengo per lui”), mi chiedevo come mai l’avete fatta così “melodic hard core”… un po’ lontani da come vi conosco!!
CD/CE: E’ nato tutto per gioco. Si parlava dell’infelice partecipazione di Gianluca Grignani a Sanremo di qualche anno fa e si rimembrava di come un tempo, quando eravamo piccoli, avesse scritto delle hit che sono entrate nel cuore di tutte le persone, ‘Destinazione Paradiso’ su tutte. Sempre per gioco prendo la chitarra acustica, abbozzo gli accordi, le ritmiche e porto tutto in saletta. Ci è voluta una prova per completare il tutto e da subito ci è sembrata vincente. Gli arrangiamenti sono di stampo “hardcore melodico” perché quel mondo ha sempre offerto le cover migliori e perché io e Cicco abbiamo un solido background di quello stampo, avendo suonato quel genere per un sacco di tempo. Penso che quell’influenza si possa sentire anche in altri nostri pezzi. Io poi sono un grande fan di queste rivisitazioni, quindi aspettatevene delle altre! Hare Krishna!
(Intervista di Francesco Mazza x Salad Days Mag – All Rights Reserved)
‘Fotogramma/40′ / Alan Maglio interview
February 12, 2024 | Salad DaysCapiamo la portata dell’operazione ‘Fotogramma/40’, raccolta di 40 anni di foto dell’omonima agenzia a cura di Milieu, al suo lancio: il libro viene presentato nella SALA STAMPA NAZIONALE, pieno centro di Milano.
Ma non finisce qui. La Sala Stampa Nazionale è PIENA. Gente fuori, gente che compra l’oggetto prima, gente che assalta il banchetto a prescindere. Non ci facciamo sfuggire Alan Maglio, uno dei due ideatori dell’opera (l’altro è Luca Matarazzo). E se qualcuno, a questo punto, si sta chiedendo quale possa essere il legame tra un fotografo o forse meglio dire un artista e il nostro mondo, vi consiglio di andare a chiederlo a Giulio The Bastard. Rifraso. Alan Maglio è il pusher di CERTE immagini utilizzate dai Cripple Bastards in alcuni recenti lavori. E se c’è qualcuno che è riuscito a “solleticare” Giulio The Bastard, IO LO DEVO INTERVISTARE!
SD: Come nasce il progetto ‘Fotogramma/40’? Quanto tempo c’è voluto per fare il lavoro MASTODONTICO che avete fatto (ed anche ovviamente chi ha fatto cosa)? Dall’idea alla stampa… immagino qualche anno. Momenti di difficoltà?
AM: ‘Fotogramma/40’ nasce dalla passione per gli archivi fotografici che condivido con l’amico e collega Luca Matarazzo, insieme abbiamo già realizzato ‘Ultima Edizione – Storie Nere Dagli Archivi De La Notte’. Questo nuovo libro celebra ed esplora i quarant’anni di attività di Agenzia Fotogramma, che ha raccontato per immagini la città di Milano a partire dal 1983. Se il libro su La Notte ci ha richiesto oltre tre anni per essere completato, in quanto trattava materiali che partivano dagli anni ’50 e non erano mai stati digitalizzati, in questo caso abbiamo potuto portare a termine la ricerca molto più rapidamente. Agenzia Fotogramma ci ha fornito l’opportunità di visionare materiali già in formato digitale in alta risoluzione, parliamo di oltre due milioni di fotografie presenti in archivio. Pur avendo in mente il libro da diverso tempo, in meno di sei mesi di lavoro pratico siamo riusciti a selezionare le immagini, creare una sequenza e metterla in pagina, scrivere i testi e costruire l’aspetto grafico del volume, in tempo per uscire in libreria poco prima della fine del 2023. Forse la cosa più “difficile” è stata, per assurdo, scegliere la copertina. Ci voleva un’immagine sintetica dello spirito di questo lavoro, e l’abbiamo pescata in fase di stampa già avviata!
SD: Da appassionato di musica, mi piace molto come le immagini sono state assemblate. Mi spiego. Sembra molto una selezione vinili… quindi selezione NON cronologica… selezione NON per temi… ma un flow che parte e finisce… con immagini che apparentemente “saltano” di palo in frasca… ma in realtà il tutto è (per me) perfetto, ha un senso. Mi spieghi come avete (o hai) fatto?? NON è facile tenere la tensione per tutte quelle pagine… ed invece…
AM: Hai centrato perfettamente una delle questioni importanti di questo progetto. L’idea era quella di proporre una visione della città che attraversasse quarant’anni di storia, creando congiunzioni tra diverse generazioni. Ho in mente quelle cresciute negli anni ’80, ma anche chi quei due decenni pre-2000 li solo ha sfiorati per ragioni anagrafiche. Abbiamo pensato subito ad una progressione non cronologica, ma che si presentasse come una sorta di esperienza cognitiva unitaria, che nello scorrere del flusso facesse riemergere tematiche legate al cambiamento urbano, all’aspetto della città, alle cosiddette “mode giovanili”, alla musica, ai personaggi dello spettacolo televisivo e alla comunicazione, fino alla storia politica delle contestazioni sociali. Abbiamo sottolineato l’esistenza sul territorio di spazi che oggi sono quasi del tutto scomparsi, come i centri sociali, ed altre forme di aggregazione spontanea che avevano la loro importanza nell’epoca pre-internet, prima dell’esistenza di quelle tecnologie che oggi accompagnano e indirizzano le nostre vite. Per creare una struttura solida per oltre 400 pagine, abbiamo pensato di stampare piccoli provini cartacei delle immagini candidate, mettendole fisicamente in fila per trovare il ritmo giusto. Alla fine sono soddisfatto di questo lavoro, è stato impegnativo ma anche molto avvincente.
SD: Ci sono delle foto dove posso dire “io c’ero”… vedi Nirvana al Palatrussardi o primi Afterhours al Tunnel… piuttosto che sgombero del Leoncavallo. C’è qualche scelta che è stata influenzata da “io c’ero”? E c’è qualcosa che avete scartato… magari pensando che non fosse di interesse?
AM: Certe scelte sono state dettate delle inclinazioni personali che ci hanno accompagnato negli anni. Non abbiamo mancato di pubblicare, ad esempio, determinate immagini di contesti come quello della musica “alternativa” e di quei luoghi di incontro che negli anni ’90 hanno rappresentato una realtà importante per molti i giovani. La selezione è stata fatta pensando a chi c’era ma anche a chi per limiti di età avrebbe voluto esserci! Sicuramente non abbiamo potuto includere altre immagini ricche di interesse, perché in fondo questo volume è un lavoro corale, che affronta tanti aspetti della città che potrebbero essere ulteriormente approfonditi, magari in future pubblicazioni!
SD: Viceversa: ci sono delle foto dove “io non c’ero”… e direi anche voi che siete più giovani non c’eravate. La domanda. C’è qualche immagine “io non c’ero” che hai/avete nel cuore… e perché? Oppure… c’è qualche foto “io non c’ero” dove avreste voluto esserci?
AM: Alcune fotografie evocano quella sensazione che potremmo descrivere con “io non c’ero ancora”, perché quello che poi abbiamo vissuto si è innestato o è stato generato da esperienze precedenti. Sin da ragazzino sono stato affascinato dalla ricerca e dall’incontro con i protagonisti di un’epoca differente ma in qualche modo collegata alla mia. Per citarti un esempio “assurdo”, ricordo che non avevo più di 16/17 anni quando con un paio di amici andai a trovare Gianmario dei Wretched a casa sua, citofonandogli bellamente in un pomeriggio qualunque. Eravamo lì per farci raccontare qualche storia sul Virus e sul punk milanese di 10/15 anni prima, spinti da semplice curiosità. Lui, pur stranito dalla visita inattesa, ci accolse calorosamente e andò a ripescare qualche vecchio flyer in cantina. Il tutto in un’epoca in cui non esistevano telefoni cellulari né e-mail per mettersi in contatto, ci si scriveva per lettera oppure si cercava un numero di telefono sull’elenco generale, sperando fosse fortunosamente quello giusto. Pensando alle immagini dell’archivio De Bellis (oggi parte di Agenzia Fotogramma, nel libro ce n’è un assaggio) mi vengono in mente gli scatti che mostrano il proliferare delle tensioni politiche e la violenza che queste hanno portato negli anni ‘70. Poterle approfondire costruisce una certa consapevolezza storica della città. Ma se devo sceglierne una che mi cattura più di tutte, dico quella datata aprile 1970 in cui è rappresentata la trasmissione in pubblico, su una televisione dell’epoca, dello sbarco sulla Luna dell’Apollo 13, davanti ad una gremita folla di curiosi alla Fiera Campionaria. è uno scatto che coniuga voyeurismo ed esplorazione dello spazio, mi piacerebbe per un attimo poter tornare indietro nel tempo e partecipare a quella scena, ascoltando i commenti dei presenti.
SD: E’ un libro “nostalgico”? Di quelli “guarda Milano che figata che era”? O è un libro che pensate possa dare un qualche messaggio di “speranza” per il futuro…
AM: “Nostalgico” non è un aggettivo che normalmente usiamo per descrivere la natura dei progetti sugli archivi. Il nostro cerca di essere uno sguardo su materiali che esistono nel presente, che possono essere incontrati, interpretati, riutilizzati. Questo libro sicuramente nutre la speranza di poter costituire un insieme di materiali attraverso i quali trovare spunti per interpretare il nostro tempo, e magari anche modificarlo. Dove il presente ci può apparire monolitico e non facilmente modellabile, la storia ci insegna che anche le situazioni più inattese possono prendere forma in modo bizzarro. Mi viene in mente quell’immagine della bandiera sovietica esposta all’esterno di Palazzo Marino nel dicembre 1989, in occasione della prima visita a Milano di Michail Gorbaciov. Sovrastava persino quella italiana e quella comunale! E che dire di Tangentopoli? L’abbiamo approfondita con diverse immagini nel nostro libro, ripercorrendo lo sgretolamento del gruppi democristiani e socialisti… che poi tutto cambi per non cambiare mai… quello è ancora un altro discorso!
SD: BTW… il fatto che il focus sia Milano… (come molte delle bellissime cose che fa Milieu)… lo vedete come un limite? O non ci avete pensato? O…?
AM: Il fatto che il focus fosse Milano ci ha permesso di lavorare su un certo tipo di immaginario, che la città in cui viviamo porta con sé, rendendola molto specifica rispetto al resto d’Italia. Restare all’interno di questo contesto ci ha spinti a mettere a fuoco quelle che sono le sue caratteristiche, legate al tema del lavoro, della moda, del divertimento e dell’edonismo a volte un po’ snob e sofisticato. La grande città industriale ha incarnato le speranze di vita di numerose generazioni, per alcuni è ancora così. E’ un concentrato esperienze contrastanti, di speranze e disillusioni, di ricchezza e miserie, di cinismo e umanità. Questo emerge in modo evidente nella nostra indagine dell’archivio di Agenzia Fotogramma. Guardare Milano dall’hinterland, senza viverci in mezzo, per me ha sempre rappresentato una condizione abituale e un punto di vista particolare e interessante.
SD: ‘Ultima Edizione – Storie Nere Dagli Archivi De La Notte’ (libro CULT)… ‘Fotogramma/40’ (lo diventerà)… il prossimo?
AM: I prossimi progetti potrebbero concentrarsi su ricerche più specifiche, ma al contempo svilupparsi su un campo di indagine più esteso, su molteplici archivi. Amerei molto dedicare un po’ di attenzione all’aggregazione giovanile nel circuito delle galassie musicali “alternative”, approfondendo le dinamiche dello stare insieme e del ritrovarsi con e negli altri. Certamente esistono lavori di riferimento sul tema, è più un desiderio che un’idea concreta… ma mi piacerebbe dare un contributo personale a questo tipo di narrazioni, prima o poi. Sempre con una certa centralità per gli apparati fotografici, che hanno la forza dell’immediatezza e della riconoscibilità!
(domande Francesco “Franz” Mazza x Salad Days Mag – All Rights Reserved / fotografie Agenzia Fotogramma)
100% Of 100% Hardcore Festival – Seed Of Pain + Hellbound @ CSO Pedro, Padova – photorecap
February 11, 2024 | Salad Days100% Of 100% Hardcore Festival – Seed Of Pain + Hellbound @ CSO Pedro, Padova – photorecap
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100% Of 100% Hardcore Festival – Silver + 3ND7R @ CSO Pedro, Padova – photorecap
February 8, 2024 | Salad Days100% Of 100% Hardcore Festival – Silver + 3ND7R @ CSO Pedro, Padova – photorecap
Pictures by Luca Secchi x Salad Days Mag – All Rights Reserved.