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Salad Days Magazine | November 23, 2024

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Catania Tattoo Convention 2024 – recap

November 19, 2024 |

Il Palaghiaccio di Catania è pronto e allestito per una due giorni (9 e 10 novembre) a pieno ritmo all’insegna dei tatuaggi, musica, contest, cibo.

La sera prima, l’otto di novembre, però, c’è stato il warm up della Catania tattoo convention 2024, un live concert all’insegna della musica estrema con i The Frog e gli Slug Gore. I The Frog, duo punk metal from Bovolone (VR) sono una band dal piglio irriverente ma melodico, con poco più di mezz’ora a disposizione, e malgrado l’audio non eccezionale, riescono a sprigionare una carica magnetica che non fa stare fermi i presenti, live set bomba!

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Gli Slug Gore, sono una band giovanissima ma già ben rodata, i live della band di Ravenna sono veri e proprie molotov che infiammano il cervello e lo bruciano all’istante ed è così immediata la reazione che “boom” ti ritrovi coinvolto come se non ci fosse un domani. Formidabili.

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La Convention. Dalle 11:00 di giorno 8 fino alle 20:30 (e così anche il giorno dopo) si sono ritrovati dentro il Palaghiaccio di Catania oltre 170 artisti del tatuaggio provenienti da tutto il mondo, un effluvio di inchiostro, macchinette (tantissime ormai silenziose… che strano non sentire il classico ronzio), merchandising per la cura dei tatuaggi, ma anche abbigliamento e monili inerenti a uno stile che va di pari passo ma che si personalizza al proprio io. Grandissimi e piccolissimi, particolari e classici, già visti e impossibili, braccia, gambe, piedi, pancia, mani, testa, petto, sedere, faccia (ehm…), collo, palato, tutto ormai si può; la tecnica, la riproduzione fedele, la caratterizzazione e i colori, insomma il tatuaggio è arte a tutti gli effetti. E incanta. L’estetica la fa da padrona, tatuarsi cambia quasi tutto, il posto dove viene inserito il tatuaggio e come viene posto (grazie anche alla visione del tatuatore) rende l’opera, l’immagine, uno specchio dove tuffarsi con gli occhi.

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La mia esperienza fotografica è stata caratterizzata dalla ricerca della foto “giusta”: si entra dentro il territorio del tatuatore e da chi viene tatuato, intrufolarsi, a volte avvicinarsi in modo molesto potrebbe creare qualche nervosismo o fastidio, invece ammetto che tutto ciò non è mai avvenuto anzi, un reciproco capire il momento o l’attimo ha reso il tutto più facile, una sorta di appendice che viene permessa. Tantissima la gente giunta per seguire la Convention ha reso ancora più interessante e avvolgente l’evento che ormai è diventato nel panorama catanese/siciliano un appuntamento super consolidato. Imperdibile.

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Ancora, sabato 9 a fine serata il palco della tatto convention catanese ha visto protagonista il concerto dei Messa, poco da dire, la band trevisana era molto attesa e il live set è stato davvero superbo, atmosferico, onirico ma allo stesso tempo impetuoso; visti qualche anno fa, sempre in terra catanese, i Messa sono sicuramente cresciuti in modo esponenziale, la musica, la presa di posizione sul palco si è alzata di livello e ha reso i Messa una band solida, da seguire, da non perdere e, soprattutto, da ascoltare.

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Chiusura domenicale della tattoo convention affidata a Ozone Dehumanizer, molti hanno aspettato anche ad orario un po’ tardi rispetto allo standard delle serate precedenti il live del rapper pugliese. Moltissimi i giovani (issimi) sotto il palco a cantare, a ripetere le frasi oltranzistiche di Ozone, irriverente, spontaneo, spartiacque controcorrente in mezz’ora ha reso il Palaghiaccio un buco nero dove vomitare la reale contraddizione di questo particolare momento storico. Luci off. La sesta edizione della Catania tattoo convention ha rivelato nuovi progetti, sicuramente il connubio tatuaggi e musica si è rivelato una forza d’attrazione notevole che si potrà solo migliorare. L’attesa per la nuova edizione è già iniziata. Dajeee.

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(Testo e Foto di Giuseppe Picciotto x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

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CATANIA TATTOO CONVENTION 2024 9-10 NOVEMBRE 2024: DARK SIDE OF THE MOON

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(Testo Giulio Rigano e Foto di Giuseppe Picciotto x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

Pretty Sick / Huerco S. @ Spazio Maiocchi per Slam Jam/Vans/Fuct, Milano – recap

November 15, 2024 |

Ennesimo centro pieno per Slam Jam, che per lanciare la collabo Vans/Fuct chiama allo spazio Maiocchi un paio di nomi “inediti” ma molto interessanti, straight out the US.

Si parte con i Pretty Sick di Sabrina Fuentes, si parte con il set “suonato per davvero” (per quelli che l’elettronica è fuffa, e sono ancora in tanti, purtroppo). Comunque. Da New York, sono un trio molto divertente che dimostra quanto il suono degli anni ’90… o per meglio dire quanto QUEL suono degli anni ’90, e sto parlando di grunge… insomma quanto Courtney Love sia diventata una colonna di riferimento per la nuova generazione “indie”… “alternative”… ma anche “new punk” (qualcono ha detto Scowl?). Ora. Penso che per gli Scowl aver sposato quelle sonorità venendo dall’estrema sinistra, venendo dall’hc… ecco: per me quel “matrimonio” è un vero e proprio “FIASCO”.

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Nel caso dei Pretty Sick, che si muovono in territori più “morbidi”, devo dire che la formula funziona. La presenza è perfetta per l’occasione: chi arriva da NYC, con voce femminile, sembra tagliato su misura per indossare le scarpe frutto della collaborazione di cui sopra. “Natural born fighi”. 45 minuti di grunge annacquato che gasano la maggior parte del pubblico presente, per ovvi motivi MOLTO modaiolo… loro genuinamente impressionati dal numero di gente di fronte a cui suonano: pochi cazzi, bella situazione! Si passa poi al set suonato “per finta”, e quindi a Huerco S.

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Per quelli che l’elettronica è fuffa, e sono ancora in tanti, sappiate che Huerco S. ha suonato (ed ovviamente c’ero??), giusto qualche giorno prima, nell’ambito di Inner Spaces, all’Auditorio San Fedele. Non sapete di cosa sto parlando? Tornate a leggervi Classic Rock, e lasciate a noi i vari Drew McDowall, Shackleton, Senni… all’Auditorio San Fedele Heurco S. ci ha fatto GODERE a base di IDM… at its best. Allo Spazio Maiocchi abbiamo “provato” il suo lato “festaiolo”. Per quel che mi riguarda: vince Inner Spaces… vince l’IDM… e perdono le chiavette. Detto questo. Dobbiamo essere realisti… dobbiamo essere cinici. Non possiamo pretendere che i 200/300 modaioli di cui sopra preferiscano un muro di suono senza ritmo… senza riferimenti… piuttosto che una playlist figa, ballabile… ma comunque “facile”… di Andrew Weatheral ne abbiamo avuto uno.

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(Txt fmazza1972 Pics Rigablood x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

Back In The Days Reminder – Catania Tattoo Convention 2022

October 26, 2024 |

Ritorna, dopo due anni causa pandemia covid-19, l’evento Catania Tattoo Convention situato in un dei locali fieristici delle Ciminiere di Catania.

Come ben ricordavamo la rassegna, che si è svolta il 12 e 13 novembre, è stata ricca di tatuatori italiani ed internazionali (oltre 170 artisti), momenti dedicati alla musica live e spettacoli di burlesque, spazi espositivi (mostre, barbier, moto custom) e workshop che da qualche anno sono diventati un evento nell’evento.

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Infatti Catania Tattoo Convention 2022 è occasione per fare due chiacchiere sull’argomento “workshop” sempre più presente durante questi eventi per la crescente richiesta dei tatuatori, specialmente quelli più giovani (nuovi). La durata dipende dall’organizzazione del lavoro del tatuatore coinvolto e varia circa dalle 3 alle 5 ore. Per questi workshop sono stati chiamati in causa due artisti, ovviamente fuori sede, uno fuori regione e l’altro fuori Italia, specializzati il primo nel colore e il secondo nel lettering.

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(Luca Natalini)

L’italiano Luca Natalini (colore) ci spiega come si svolge un suo workshop: “un paio di ore sono dedicate alla spiegazione della propria tecnica, poi si passa agli accostamenti cromatici, composizione e colore nel tattoo. Infine si passa alla pratica, quindi tatuo una persona che ho scelto e sulla quale posso rappresentare al meglio la mia tecnica, (possibilmente con pelle chiara), anche in base alla posizione del tatuaggio, così da poter farlo vedere mentre lo si esegue e naturalmente predisposizione al tatuaggio da parte di chi poi lo terrà per sempre (eheheh!!!); personalmente i “corsi” li ho anche effettuati nel mio shop, non solo in incontri fieristici. Di solito in questi eventi si viene proposti e non ci si propone e le tecniche spiegate sono già avanzate, ti proponi a un’audience che già sa tatuare, non si parla più dell’abc”.

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(Big Meas)

L’americano Big Meas (lettering): “tanti anni che lo faccio, lo ritengo molto utile per chi vuole skippare determinati passaggi, per non dire anni, di gavetta, e arrivare allo step successivo visto che in queste occasioni si ha l’opportunità di apprendere piccoli trucchi del mestiere portandoti al livello successivo. Io, per esempio, ho partecipato per anni a seminari e workshop che tra l’altro faccio nel mio shop per soli addetti ai lavori, chiaramente. Certo è che, di solito, per apprendere lo sviluppo di un’idea e del processo, sia creativo sia poi pratico, ci vorrebbero magari anni, anche solo un paio che qui decisamente salti. Diciamo che probabilmente i seminari, durando più giorni, sono più formativi, perché un’idea non la completi in un solo giorno, ma magari la rivedi e la modifichi nel corso del tempo, come può essere appunto un seminario di più giorni, mentre in un workshop è praticamente one shot”.

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Poi ci sono le varie opinioni riguardo l’argomento di queste “lezioni”; da chi ritiene utili questi appuntamenti poiché si impara sempre qualcosa, è una cosa indubbia, a chi magari pensa il contrario e ritiene che è molto meglio la gavetta, attraverso la quale puoi davvero apprendere tanto vivendo il tatuaggio giorno dopo giorno per ore, vivendolo completamente, o infine addirittura chi, non proprio contrario, si è fatto direttamente tatuare dal tatuatore chiamato per un workshop, capendo attraverso domande e vedendo lo sviluppo dell’idea e della tecnica, entrambe “in progress”, sul proprio corpo e restandoci pure per sempre, partecipando praticamente a una lezione privata (possibilmente allo stesso costo-ndr) a tu per tu con il tatuatore e portandosi a casa pure “un pezzo” nuovo.

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L’esperienza delle due giornate è stata più che positiva con una alta partecipazione di pubblico e un’organizzazione davvero impeccabile.

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(Nerobove)

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(Rhino)

(Words & Pics Giuseppe Picciotto x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

DIY Demo @ Raphaël Zarka x Nike SB Cycloïde Piazza Centre Pompidou, Paris – photorecap

August 10, 2024 |

DIY Demo @ Raphaël Zarka x Nike SB Cycloïde Piazza Centre Pompidou, Paris – photorecap

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Endorsed by Vega skatehop (Paris) – Le39 skateshop (Paris) – Arrow & Beast Skateshop (Paris).

Photos by Rigablood x Salad Days Mag – All Rights Reserved

‘Nessuna Regola’ – Lele Lutteri interview

July 26, 2024 |

In occasione dell’uscita per Alcatraz (possiamo considerarla la costola “sportiva” di Tsunami?) di ‘Nessuna Regola’ (sottotitolo: 40 anni di skateboard in Italia)…

non ci lasciamo scappare per le due “chiacchiere di rito” Lele Lutteri, il matto (in senso positivo, ovvio) che ha messo in piedi e realizzato questo progetto!

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SD: Iniziamo con il botto. Qualche domanda di carattere “generale”. Uno. COSA TE L’HA FATTO FARE? Mi spiego. Un libro su una nicchia… che in Italia è ancora più nicchia… con l’aggravante che siamo sì in un momento (forse) buono per lo skate (vedi olimpiadi) … MA NON per la CARTA… ripeto: COSA TE L’HA FATTO FARE?
LL: Ahahah, bella domanda! Che poi è la stessa che mi sono posto anche io appena firmato il contratto! A parte gli scherzi, ti racconto come è andata: nell’estate del 2020 i ragazzi di Agenzia Alcatraz (la casa editrice costola di Tsunami Edizioni per cui è uscito il libro) mi hanno contattato dopo aver letto una mia intervista uscita poco prima in cui parlavo del mio lavoro, del post pandemia (ai tempi tra le altre cose ero socio di Rock Burger un diner di Milano) e di come da qualche tempo stessi affiancando la scrittura al mio lavoro di designer e grafico. Ci conoscevamo già, è bastata una telefonata e ci siamo trovati qualche giorno dopo in redazione da loro, che tra l’altro è a due passi dal mio studio! Mi proposero il progetto, anche e soprattutto in considerazione del fatto che io lavorassi da anni come designer nel campo dello skate, prima con un mio marchio, poi per diversi anni per il marchio milanese Bastard e, dal 2010, come freelance per diversi brand. La sfida era di quelle grandi: come dici tu parliamo comunque di una realtà di nicchia, spesso (e a ragion veduta) refrattaria a raccontare e raccontarsi al di fuori della propria rete ed è verissimo che libri, riviste e carta stampata in generale stanno attraversando un momento storico non facile. Ma il mio lavoro è fatto di stimoli, di progetti coinvolgenti e ambiziosi: in fondo non esisteva qualcosa come il libro che avrei dovuto scrivere, e l’idea di provare a mettere assieme i pezzi della storia dello skateboard nel nostro paese era decisamente “ghiotta”, motivo per cui decisi di accettare.

SD: Due. SEI CONTENTO? Di come è venuto. Di come l’hai fatto. E poi… di come sta andando…
LL: Ammetto che sono molto contento e soddisfatto del risultato finale e di come questo lavoro sia stato accolto. L’ufficio stampa della casa editrice ha fatto poi un ottimo lavoro di promozione e marketing e le presentazioni del libro nelle varie città che abbiamo visitato sino ad ora sono sempre state un bel momento di condivisione di pensieri ed opinioni. Diciamo che l’idea di raccontare la “storia dello skateboard in Italia” era ambiziosa, ma quasi impossibile, considerando che parliamo di un fenomeno che mai prima di ora era stato raccontato e descritto in maniera “cronologica” o “didascalica”; quindi, il rischio di risultare lacunosi o imprecisi era altissimo. Motivo per cui ho deciso di dare un taglio leggermente diverso a questo libro, evitando la “superbia” di pretendere di scrivere la storia, ma limitandomi, si fa per dire, a raccogliere tante testimonianze e tanti spunti di riflessione di chi ha vissuto in prima persona tutto ciò che, messo assieme e affiancato al mio lavoro di analisi e narrazione, ritengo abbiano restituito in maniera abbastanza reale e veritiera quello che è successo nel nostro paese a proposito di skateboard
negli ultimi quarant’anni.

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SD: Tre. Per chi è scritto? Per gli skaters? o per i NON skaters?
LL: ‘Nessuna Regola’ è scritto, o quanto meno questo è stato il mio intento, per chi è o è stato skater, ma anche per chi è sempre stato incuriosito e attratto dallo skate e da tutto quello che gli ruota attorno. Non è un libro “tecnico”, principalmente perché io, che a malapena chiudevo un ollie quando andava bene, non sarei stato in grado di farlo e sarebbe stato stupido e presuntuoso provare a parlare di tecnicismi a chi magari ne sa molto più di me sotto quell’aspetto. Ho scelto di non dilungarmi troppo nelle tematiche più da fruitore, soprattutto nei capitoli in cui parlo dei materiali e delle migliorie arrivate con gli anni, degli shape delle tavole e della evoluzione dei tricks perché ritengo che tutto quello che invece è legato alla socialità della tavola, all’arte di arrangiarsi e ricavarsi i propri spazi, alle contaminazioni e all’apporto che lo skate ha scambiato con il costume, la musica, l’arte e un sacco di altre discipline fossero argomenti e spunti di riflessione interessanti anche per chi, magari, non si è neanche mai dato una spinta con una tavola sotto ai piedi.

SD: Continuerei con qualche domanda dal punto di vista dello “scrittore”. Per capire e far capire come funziona il rapporto con una casa editrice. Me lo accennavi prima, ma vale la pena qualche parola in più: come hai convinto Alcatraz / Tsunami?
LL: Come ti dicevo prima sono stati loro a cercarmi. Hanno avuto l’intuizione giusta (non nell’aver chiesto a me, ma nel pensare che mancasse sul mercato un prodotto del genere) e soprattutto la professionalità e i mezzi per seguire e spingere il progetto nella maniera migliore. In fondo dai, un paio di libri li hanno pubblicati no?

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Max Bonassi

SD: Quanto tempo dall’idea alla stampa. E cosa è stato più difficile/lungo? Scriverlo? Raccogliere il materiale d’archivio? Intervistare i vari “ospiti”? A proposito del materiale di archivio… tanta bella roba, compliments. Sei un “collezionista” seriale (come io coi dischi)?
LL: “Quanto tempo dall’idea alla stampa?” Ho perso il conto ahahaha! Dunque, come ti accennavo, ci siamo sentiti nell’estate del 2020 e, tra una cosa e l’altra il libro è uscito nell’ottobre del 2023. Onestamente il lavoro l’avevo finito parecchio prima, diciamo che ero pronto per la fine del 2022, ma, una volta finita la mia parte, correzioni e revisioni comprese, è comunque dovuto arrivare il momento giusto per incastrare l’uscita del libro nel calendario dell’editore, che ti assicuro, è sempre super fitto! Sinceramente non saprei dirti quale sia stata la parte più difficile. Scrivere mi viene abbastanza naturale, ma ho bisogno di isolarmi da tutto e da tutti; tutta la mia attenzione si concentra lì quando scrivo, al contrario di quando disegno dove spesso mi distraggo, tengo la musica alta, guardo i social etc. Diciamo che la parte più difficile e impegnativa è stata forse quella di sentire tutti contributors (skaters, produttori, musicisti, fotografi etc.) e mettere nero su bianco la loro storia: non tanto per l’operazione in sé (ci sentivamo per telefono, ci facevamo una bella chiacchierata che io registravo e poi sbobinavo), ma per la responsabilità che mi sentivo addosso. Un sacco di gente ha deciso di affidarmi la propria storia, le proprie foto, i ricordi di una vita e le proprie opinioni, e da subito ho considerato questo aspetto un privilegio ed una grossa responsabilità. In diverse occasioni ho dichiarato che questo libro non sarebbe stato possibile senza il contributo di tutte quelle persone che si sono prestate alle mie domande. Per quanto riguarda quindi il materiale fotografico presente nel libro, gran parte degli scatti mi è stato donato direttamente dai contributors, tranne una piccola parte di scatti miei, come quello di copertina ad esempio. Per quanto riguarda il collezionismo in sé invece, si apre un mondo a parte: sono un collezionista al limite del patologico: colleziono, ovviamente, vecchie tavole da skate, chitarre, biciclette, vinili, action figures di super eroi… ho casa e studio zeppo di roba, e mia moglie è disperata ahahaha!

SD: L’idea dell’intervista/corale/storia è (per me) sempre vincente. L’avevi pensato così fin dall’inizio?
LL: L’idea di affiancare la mia narrazione all’intervento di chi “la storia dello skate l’ha fatta” è stata la prima cosa che ho voluto specificare con i ragazzi di Agenzia Alcatraz. Della serie: “ok, io posso parlare a grandi linee di quello che è successo, dell’aspetto legato al mercato, al sociale e alle mode e di tutto quello che ho vissuto ed osservato da professionista e da amatore negli anni. Ma la storia l’hanno fatta altri, ed è fondamentale che siano loro a dire come è andata”. La mia fortuna è di avere conosciuto e di aver lavorato nel corso degli anni con persone splendide, pilastri e pionieri dello skateboard, motivo per cui mi è venuto naturale pensare subito a loro. In questo modo non solo ho provato a trasmettere con voce diretta quello che è successo, la strada percorsa per arrivare a quello che lo skate è oggi nel nostro paese, ma ho cercato di mantenere una “pluralità”, fatta a volte anche di opinioni contrastanti, ma che provasse a rendere nella maniera più corale possibile la storia che stavo raccontando.

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Ale Mazzara + Daniele Galli courtesy picture by Piero Capannini

SD: L’idea di dividerlo per temi, pure, è (per me) spesso vincente. Stessa domanda di cui sopra…
LL: La divisione per temi ad un certo punto è diventata quasi un’esigenza per continuare il libro in maniera coerente con quello che mi ero prefissato di fare. La narrazione, infatti, segue un ordine temporale fino a quando lo skateboard ha seguito un susseguirsi di ondate di popolarità alternate a periodi di oblio totale o quasi, diciamo dalla fine degli anni settanta fino al duemila circa. Successivamente, con il consolidamento del fenomeno non aveva più senso seguire una narrazione di questo tipo, ma valeva la pena iniziare ad analizzare tutte le tematiche in cui lo skateboard ha cominciato a dire la sua in maniera importante: dalla commercializzazione del mainstream a tutte quelle forme di mestieri e arti a cui lo skateboard si è affiancato dando il proprio contributo e lasciandosi contaminare.

SD: Considerazioni varie. Uno dei motivi per cui io non scriverò mai un libro? Necessariamente finisci per dimenticare qualcuno o qualcosa. Mi spiego. Se parlo di HC, parlo di HC milanese… piuttosto che della TubeRecords (nome a caso) perché li conosco bene. Insomma… ci sono degli ovvi motivi di vicinanza/confidenza/simpatia che fanno di queste storie delle “storie parziali”. Mi chiedevo se ci hai pensato… e/o cosa ne pensi?
LL: Hai toccato un tema molto importante: inevitabilmente, soprattutto se si è tra i primi a provare a proporre un lavoro del genere, la mancanza di fonti porta necessariamente ad eccedere in quello che si conosce meglio e a tralasciare, non per intenzione, ma appunto per mancanza di esperienza diretta, tutto quello che invece si conosce poco. Già dalla scelta delle persone da sentire ho cercato di distribuire le testimonianze lungo tutto lo stivale, ma inevitabilmente i miei contatti erano molto più concentrati nel Nord Italia. Ho escluso a malincuore delle persone che avrei voluto sentire semplicemente perché diversamente l’asticella avrebbe virato molto di più verso una realtà troppo “locale”. Sono cosciente di aver tralasciato qualche nome, qualche spot, qualche contest sicuramente importanti e degni di essere riportati secondo il parere di qualcuno; ho chiuso il libro sottolineando questo aspetto, ma dicendo anche che in fondo questo poteva essere solo l’inizio: lo spunto perché poi ognuno provasse ad approfondire tramite le proprie conoscenze o tramite il web quello che più gli è piaciuto del libro. Lo skate è sfuggente per natura, e in fondo è il suo bello: pensare di inserire in un solo libro tutto quello che è successo è pura utopia a mio parere.

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Suicidal Tendencies alla bastard bowl

SD: in questo cammino, c’è qualche episodio, qualche persona, o qualche momento che ti ha fatto dire: “WOW, che bomba!” Parlo di un incontro, piuttosto che di un momento…
LL: Ci sono stati diversi “Wow”. I primi li ho esclamati ascoltando alcune storie ed aneddoti raccontati dalle persone intervistate: brevi estratti di vita che ti fanno capire prima di tutto come i percorsi siano spesso comuni, anche al mio, in fondo. Strade fatte con la passione, l’amore per lo skate, la musica, le autoproduzioni… poi vabbè, il “Wow” forse più scontato è stato quando sono arrivate le prime copie del libro, quando mi è capitato di vederlo impilato in librerie come LaFeltrinelli o Mondadori. E poi i “Wow” forse più belli, quando mi succede ai firmacopie di scambiare quattro chiacchere con ragazzini giovanissimi, ma curiosi e preparati. Penso, e non solo io, che sia molto importante che chi si avvicina allo skateboard oggi debba sapere che non esiste solo Instagram per immortalare i propri trick e cercarsi uno sponsor, ma che prima di tutto questo c’è stata gente che si è fatta un culo quadrato per far sì che oggi esistano skatepark, skate shop e scuole dove poter imparare ad andare sulla tavola. Esiste una storia, una vera e propria cultura legata allo skateboard e se un ragazzino ne viene a conoscenza anche grazie al mio libro, beh… super Wow!

SD: Last… but not least… OLIMPIADI YES o OLIMPIADI NO?? ovvia domanda!
LL: La domanda delle domande! Si potrebbe anche dire “skateboarding is not a crime” o “keep skateboarding a crime”? Ho parlato con diverse persone di questo argomento nel libro e mi trovo perfettamente d’accordo con chi è del parere che ad oggi lo skate è, volente o nolente, anche “Olimpiadi”. Fa parte della pluralità raggiunta dalla tavola: pluralità che ti permette di avere molti più skatepark, prodotti “entry level” che aiutano un genitore ad assecondare i desideri di un figlio che vuole provare ad andare in skate etc. L’importante è che tutto quello che riguarda lo skateboard resti nelle mani di chi fa skateboard, altrimenti è un disastro (vedi ad esempio le vecchie Federazioni o park progettati da “profani” e costruiti con transizioni inutilizzabili).

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SD: Legata a questo… una sottocultura o uno “sport” che fa della libertà e dello stile… piuttosto che delle dinamiche quasi da ultras (“only locals” nel surf, per intenderci) non pensi che muoia nel momento in cui diventa una competizione, con delle regole, dei tempi, delle successioni che DEVI fare? Io sono valtellinese… e mi piace fare freeride (parlo di snowboard e di fresca). Quando guardo le gare di freeride mi viene una tristezza…
LL: Di sicuro lo skateboarding della mia generazione è diverso dallo skateboarding che può esserci oggi. I nostri genitori ci urlavano in continuazione di “smetterla di andare in giro con quel affare con le rotelle”, i genitori di oggi (i miei coetanei) invece iscrivono i propri figli alle scuole skate. Mi sarebbe piaciuto lo skate se mia mamma mi avesse detto: “Guarda, c’è una scuola skate, vuoi andare?”. Molto probabilmente no, lo ammetto, ma perché per la nostra generazione lo skate era ribellione, rottura. Mi sarebbe piaciuto provare a chiudere i trick pensando “questo è da 6 scarso, o questo era da 10”? Per nulla, motivo per cui non ne ho mai voluto sapere di giocare a pallone nelle scuole calcio o di provare a fare uno sport in cui un qualsiasi metro di giudizio ne influenzasse la performance. Però ripeto, è la mia esperienza, la mia attitudine e il mio modo di pormi nei confronti delle cose. Il bello è che al giorno d’oggi puoi continuare a vivere lo skateboard in questo modo, ritrovandoti con gli amici, bevendoti una birretta tra un trick e l’altro oppure puoi provare a diventare la prossima medaglia d’oro. Le strutture, le possibilità e le occasioni ci sono, sta a ognuno la scelta di come viverle lo skate, e soprattutto una cosa non esclude l’altra. Vado in snowboard un po’ meglio di come vado in skate, ma in tanti anni di montagna non mi è mai venuta voglia di provare a iscrivermi ad un contest, mi piace girare, provare qualche trick e divertirmi con gli amici. Ricordo forse con più affetto le levatacce dopo una serata in giro o i panini nella stagnola infilati nelle tasche della giacca per risparmiare piuttosto che la volta che ho chiuso meglio un trick. Per quanto mi riguarda lo spirito è questo: puro divertimento, che poi è puro Rock‘n’Roll!

SD: Quoto: “per quanto mi riguarda lo spirito è questo: puro divertimento, che poi è puro Rock‘n’Roll!”

(Intervista di Francesco Mazza x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

Fourth Sun / Peep / Habak @ La Casa Di Alex, Milano – recap

July 10, 2024 |

Ho sempre pensato di vivere in un mondo parallelo. Gusti, lavoro, esperienze…

mi trovo spesso a pensare che un eventuale interlocutore in un’ipotetica conversazione riguardo ai reciproci interessi capirebbe ben poco di quello che faccio… di quello che dico… di quello che penso. Il concerto degli Habak rientra perfettamente in questa situazione. Non ne sto facendo una questione “morale”. Non ne sto facendo una questione de: “io sono meglio” (anzi. Qualche volta, e lo sapete bene, l’underground mi ha proprio rotto i coglioni). Proviamo. Amico che esce dal concerto di Zucchero, San Siro. “Zucchero ha spaccato. I concerti a San Siro sono il massimo. Tu cosa sei andato a vedere questa sera?”. “Suonavano tre gruppi, in un posto nuovo, almeno per me: La Casa di Alex. Zona Niguarda. BELLO. Tessera sì, ma fanno un casino di cose quindi 5 euro ben spesi. Due spine di birra (artigianali but affordable) al bar, personale simpatico e preso bene, tanto che ci ho lasciato volentieri un resto.

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Partono i Fourth Sun. Tu non leggi Salad Days, ma abbiamo recensito uno dei loro gruppi “paralleli”, i THØRN. Tu non vai a vedere gli Eyehategod, ma l’ultima a Milano, quella al Legend, di spalla c’erano proprio i Fourth Sun. Avevano spaccato. Rispetto ai “paralleli”, rispetto ai THØRN: togli l’aggettivo “blackened”, e mettici un semplice “post”. Suoni anni ’90, post hardcore bello metal… presenza e voce di Alberto che mi portano a qualche basement show tipo Baltimora… avevano spaccato con gli Eyehategod. Oggi pure.

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Dopo hanno suonato i Peep. Ci canta Gianluca degli Øjne. Gli Øjne li conosci, vero? Sono un gruppo oramai grosso, screamo. A Milano (e non solo) muovono centinaia di persone. I Peep sono il progetto “powerviolence” di Gianluca. Quindi lo preferisco, e di tanto, al gruppo madre. Chaos… botta… feedback lasciati tra un brano e l’altro… prensenza e voce di Gianluca che mi portano a qualche basement show tipo Oakland. BOMBA.

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Arriviamo al piatto forte della serata. Da Tijuana gli Habak. Come definirli? Qualcuno mi ha suggerito emo-crust. Forget about that: sapete bene che quando sento parlare di “emo” (quello original, ok? Quello degli anni ’90) mi vien male. Ho letto di “melodic” crust: ed anche qui mi vien da dire… mah??! Mi spiego. La parola “melodic” affianco a qualcosa che richiama all’hardcore mi catapulta a certi “punk” colorati della Fat Wreck… quindi brutte sensazioni, non un complimento. Rimane una sola definizione possibile. Gli Habak sono un gruppo “post-crust”. O… forse…. gli Habak sono un gruppo “crust evoluto”. Parti atmosferiche alternate a sfuriate a mille… la cosa più simile per rendere l’idea? Gli Habak stanno al crust come i Deafheaven stanno al black. La vuoi sapere una cosa divertente, un’ulteriore prova dell’importanza degli Habak in questo particolare momento?

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Nel pubblico c’era tanta gente che suona… non solo i soliti noti dei concerti. Ho riconosciuto tanti “vips”: Skulld, Riviera, Radura, Potere Negativo, Baratro, Golpe… e qualcuno me lo sto scordando!” “Fermati Franz, time out… non ti seguo. Non ci ho capito un cazzo… non un nome. Non un genere. Non un posto. Scusa.” Ho sempre pensato di vivere in un mondo parallelo. Gusti, lavoro, esperienze… mi trovo spesso a pensare che un
eventuale interlocutore in un’ipotetica conversazione riguardo ai reciproci interessi capirebbe ben poco di quello che faccio… di quello che dico… di quello che penso. Il concerto degli Habak rientra perfettamente in questa situazione.
(Txt fmazza1972 x Salad Days Mag; Pics Luca Secchi)

Salmo + Noyz @ Sequoie Music Park, Bologna – photorecap

July 10, 2024 |

Salmo + Noyz @ Sequoie Music Park, Bologna – photorecap

Pictures by Silvia Gigli x Salad Days Mag – All Rights Reserved.

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Turnstile @ Circolo Magnolia, Milano – recap

June 21, 2024 |

“Ne dovete mangiare ancora di pastasciutta. Ancora ne dovete mangiare”. È tutta la mattina che mi gira la famosa frase di Bonucci agli inglesi… e non devo spiegare di cosa sto parlando.

Intendiamoci, da subito: Bonucci non è il mio “role model”. Ma: troppo fresca la partita. Lunedì i Mr. Bungle. Mercoledì i Turnstile. Stesso campo, il (difficilissimo) Circolo Magnolia. Più o meno stesso prezzo del biglietto. Troppo facile il confronto. Da una parte una squadra di vecchi talentuosi che non mollano… anzi: tornano a suonare il loro primo demo, grande esempio di thrash evoluto (prima mia recensione su Salad Days. Lacrime). In formazione almeno due Maradona (Patton e Lombardo). Dall’altra una squadra di giovani entusiasti che vogliono spaccare tutto, gente che si è staccata dalle prime cose… anzi: gente che porta in giro ‘Glow On’, i.e. il nuovo hardcore. Hardcore fluido. Hardcore ad un altro livello. Lo sapete meglio di me.

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“Ne dovete mangiare ancora di pastasciutta. Ancora ne dovete mangiare”. È tutta la mattina che mi gira la famosa frase di Bonucci agli inglesi… state iniziando a capire? Dicevamo. Stesso campo, il (difficilissimo) Circolo Magnolia. Stadio gremitissimo ai Mr. Bungle… se non sold out siamo comunque ad un numero di presenze simile al famoso “NOFX al Magnolia” di qualche anno fa… stadio pieno, ma non pienissimo per i Turnstile. In qualità direi “meglio”: ampio, vario e trasversale l’audience. Fluido. Come il loro hardcore.

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Dicevamo. Stesso campo: il (difficilissimo) Circolo Magnolia. Difficilissimo? All’aperto, in Italia, sappiamo che si gioca come a San Siro, il San Siro del periodo delle zolle che si staccavano… ricordate? Per chi non mi sta seguendo. All’aperto, in Italia, abbiamo un problema di suoni e di volumi. In una situazione del genere i primi a perdere, purtroppo, sono i supporter. Non basta essere animali da palcoscenico, e non proprio di primo pelo, come Eugene degli Oxbow. Non basta buttarla sulla caciara/stage diving/Idles (per chi li ha visti) come Cal dei Ditz. Purtroppo riassumo Oxbow e Ditz in due parole: “non pervenuti”. O “non applicable”. Peccato.

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“Ne dovete mangiare ancora di pastasciutta. Ancora ne dovete mangiare”. È tutta la mattina che mi gira la famosa frase di Bonucci agli inglesi… ora ci siamo? Veniamo al main act, parte I. I Mr. Bungle, con tutte queste premesse, portano a casa uno show spettacolare. Ci si dimentica delle zolle. Ci si dimentica dei volumi. Patton empatico. Lombardo? CAZZO Lombardo si presta al cazzeggio. Scaletta PAZZESCA… pezzi thrash di cui sopra, alternati a cover pop che Patton si MANGIA come Maradona al secondo gol all’Inghilterra… quello dove ha seminato mezza squadra. On top. Pelle d’oca con momenti Slayer/Cro-Mags/S.O.D. Rino Gattuso/Scott Ian a darci la botta quando la situazione si fa troppo “tranquilla”… e, penso lo sappiate: hanno fatto ‘State Oppression’ dei Raw Power. Finisce per KO. E parlo di un KO tipo Tyson… un’ora e un quarto di pugni messi a segno.

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Veniamo al main act, parte II. I Turstile, con tutte queste premesse, portano a casa uno show appena sufficiente (manco negli anni’70 regalavano questi 6 “politici”/ndr). Non mi dimentico delle zolle. Non mi dimentico dei volumi (scandalosi/ndr). Anzi. Scaletta sbilanciata sull’ultimo ‘Glow On’, zero empatia (se non la tipica americanata “thanks being here”)… troppi momenti Freddy Mercury (de noantri/ndr)… e persino un assolo di batteria (bisogna spiegare al “perfomer” che non è ne Tommy Lee ne Nicko McBrain ne tantomeno Peter Criss, che comunque lo avrebbero fatto più breve/ndr). In un set di un’ora scarsa tutto questo è inaccettabile. INACCETTABILE. Peccato. Hanno dei signori pezzi, poche balle.

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Ma la mia impressione è che tutta quest’energia si fermi al palco… lassù… lontano, dietro alle transenne. Fanno del groove la loro forza? Fanno della botta il loro vanto. Non mi è arrivato niente. Tutto rimasto lassù… lontano, dietro alle transenne. I Mr. Bungle mi hanno SORPRESO. I Turnstile NO. “Ne dovete mangiare ancora di pastasciutta. Ancora ne dovete mangiare”.

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P.S.
Non solo il nome. Trovo che esista un qualcosa di simile tra Brendan/Turnstile e Brandon/Incubus. Gli Incubus?… bah…

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P.P.S.
Ma i Jane’s Addiction li vedo solo io?

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(Words fmazza1972 – Pics Rigablood x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

Venezia Hardcore Festival @ CS Rivolta, Marghera (Ve) – photorecap

June 14, 2024 |

Venezia Hardcore Festival @ CS Rivolta, Marghera (Ve) – photorecap

Pictures by Martino Campesato x Salad Days Mag – All Rights Reserved.

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Casey + Quercia @ Legend Club, Milano – photorecap

June 8, 2024 |

Casey + Quercia @ Legend Club, Milano – photorecap

Pictures by Alberto Bocca x Salad Days Mag – All Rights Reserved.

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Venezia Hardcore Festival skateboard jam @ CS Rivolta, Marghera (Ve) – photorecap

June 1, 2024 |

Venezia Hardcore Festival skateboard jam @ CS Rivolta, Marghera (Ve) – photorecap

Pictures by Martino Campesato x Salad Days Mag – All Rights Reserved.

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Nex Cassel “unrealized” – interview

May 27, 2024 |

Oltre ad essere l’autore del disco, Nex come già fatto in precedenza in altri suoi lavori, si è occupato anche di mix e master del progetto…

…affidando poi la parte grafica di esso a Leonardo Amati e arrichendo il booklet, contenuto nella copia fisica del cd, con gli scatti di Andrea Rigano e Nicola Zonta. Questi ultimi non sono però gli unici amici di vecchia data ad aver preso parte a questo progetto, perchè nelle tracce ‘Golden Glove’ e ‘Detersivo’ il rapper veneziano ha ospitato rispettivamente le combo Gionni Grano/Gionni Gioielli e Ensi/Egreen. E ora, dopo aver conosciuto nel dettaglio la sua ultima fatica, non vi resta che immergervi nelle domande che abbiamo fatto a lui e Craim per il nostro magazine (l’intervista completa a entrambi) così come un veneto lo farebbe nell’alcol, ma solo se avete abbastanza fegato…

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SD: Le prime tre date in cui avete portato live il disco sono a Milano (Legend Club) , Venezia (CS Rivolta) e Bologna (Kindergarten): quale fra queste è stata la serata più calorosa da parte del pubblico?
N: Per la data di Milano ti dico che è figo suonare lì perchè ci abitano un sacco di rapper e di solito quindi ci sono sempre tanti ospiti a sorpresa, venendone fuori sempre una roba interessante. Sulla data di Venezia ti dico che il Rivolta è un posto dove sono cresciuto, andandoci fin da ragazzino prima e organizzandoci serate per anni poi, quindi lo vivo come un posto che mi fa sempre sentire a casa. Pure per Bologna perchè la ritengo una città iconica per generi come il rap underground e la musica elettronica, dato che sono cresciuto con il mito dei Sangue Misto, vedendoli anche al vecchio Link e vivendo i tempi di Zona Dopa.

C: Così come ha detto Nex, anche per me il Rivolta è stato casa per due/tre anni ed è dove mi sono conosciuto con lui…

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SD: Proprio Ensi è stato insieme a Egreen, Gionni Gioielli e Gionni Grano, uno dei featuring che hanno preso parte al tuo ultimo disco: a cosa è dovuta la scelta di collaborare con amici a te stretti questa volta rispetto a featuring con artisti più vicini all’ambiente mainstream come avevi fatto in ‘Vera Pelle’?
N: ‘Fegato’ è un disco diverso da ‘Vera Pelle’, ma come ho fatto per quest’ultimo, ho messo i nomi che mi sembravano più adatti al progetto, perchè per me è sempre la musica che va a chiamare le collaborazioni. Nonostante avrebbe potuto essere tranquillamente un disco senza featuring dato che lo trovo molto personale, nella realtà dei fatti da ascoltatore a me i dischi rap piacciono con i featuring e quindi ho deciso di inserire quelli che ritenevo più azzeccati, con artisti che sono in primis anche miei amici.

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SD: Chi ti conosce bene sa che il fegato non ti manca di certo, ma quello non è solo il titolo del tuo disco, ma anche la base da cui partire per uno dei piatti più rinomati della tua regione che citi tra l’altro nel disco, ovvero il fegato alla veneziana. Dato anche il tuo disco precedente ‘DOCG’ con il tuo amico fraterno Gionni Grano (rapper e proprietario del ristorante Al Bacaro di Noventa di Piave-Ve) mi viene quindi spontaneo chiederti: qual è fra tutti il piatto che preferisci della tua ristorazione locale? E quali sono invece le bottiglie che hai più apprezzato tra i vini e le bollicine che ti ha fatto provare il buon Grano?
N: Diciamo che la maggior parte delle volte che ho bevuto champagne è stato quasi sempre grazie a Grano, che anche quando viene in studio arriva sempre con un cartone di champagne. Perchè sì, Grano è esattamente così al 100 % e così lo è sempre stato, fantastico, inossidabile e invincibile (ride, ndr). Invece per quanto riguarda il mio piatto preferito, vado sul semplice e ti sparo un bel spaghettino con le vongole, che ti sottoscrivo proprio e che puoi mangiare tranquillamente anche tutti i giorni.

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SD: Oltre a vini e bollicine però, uno degli alcolici che preferisci è sicuramente la birra, tanto da averne una anche tua, ovvero la west coast ipa Adriacosta, creata grazie al birrificio artigianale dei Blond Brothers: come è nata questa birra, in che cosa si caratterizza e potendo dove vorresti farla arrivare in futuro?
NC: Questa birra è nata perchè, anche se adesso le birre artigianali sono una realtà affermata, all’epoca era una novità e ci eravamo subito presi bene con questa cosa. Devo dire che uno dei primi ad avere iniziato a produrre le birre artigianali è stato quel pazzo scatenato di mio fratello Er Costa, che da sempre è un grande cultore di craft beer e ne sa un sacco in merito. Dagli albori di questa “moda”, siamo partiti subito con questa realtà dei Blond Brothers, che sul territorio veneziano sono molti forti anche a organizzare eventi e altre cose, quindi avendo anche tanti amici in comune ci siamo trovati e abbiamo deciso di farla. In realtà avevamo fatto 1000 litri pensando di fare un one shot, destinandoli per altro a delle feste che abbiamo fatto a Torino, Milano e qui in Veneto, volendo celebrare con quella birra lì; nella realtà però alla fine di quei 1000 litri loro mi hanno detto che avrebbero voluto continuare a produrla e metterla nella loro linea come se fosse una delle loro birre da sempre e così è stato. Volendo fare una birra che entrasse nella vita delle persone e che fosse da bere spesso, adatta da far serata ma che allo stesso tempo soddisfasse gli appassionati di birra, abbiamo optato per creare una birra non troppo alcolica, con una gradazione 6° e caratterizzata da questi luppoli americani, tanto in voga quanto costosi e difficili da reperire. Abbiamo quindi questa birra tipicamente di stile americano, una ipa west coast profumata, fruttata e amara, che secondo me va bene un po’ in tutte le occasioni e che vi consiglio tuttora di ordinare sullo store dei Blond Brothers. Riguardo a dove vorrei farla arrivare invece, ti dico che nonostante mi piacerebbe molto lavorare nel business degli alcolici, essendo un settore che a me piace molto e che è molto importante per l’Italia, attualmente purtroppo non sto facendo nulla di concreto, ma ho solo delle idee nella testa a cui vorrei sviluppare.

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SD: Proprio per il compleanno del birrificio Blond Brothers, il 25 Aprile di quest’anno avete fatto un grande party free entry con tutta l’Adriacosta e tanti altri amici rapper, tra cui Ensi, in cui avete avuto modo di ricordare anche la scomparsa di Nigga Dium: come è stato dopo anni ritrovarsi nello stesso posto per suonare con tutti gli amici di sempre? Quanto è stato importante per te ricordare Dium e come hai affrontato la sua perdita?
N: Diciamo che noi quella festa la volevamo fare ed era in programma quando Dium era ancora vivo in realtà, perchè l’avevamo fissata molti mesi prima, praticamente l’estate scorsa. Poi però Dium è venuto a mancare purtroppo e quindi alla festa lo abbiamo celebrato, anche grazie al nostro amico Fabio Funky, che è un writer e tatuatore di Milano molto bravo, che ha fatto un pannello col suo ritratto che è visibile ancora oggi appeso nell’hall di entrata del birrificio. Quella sera oltre al Graffito in memoria del Dium, io ho fatto un dj set con tutti pezzi suoi e abbiamo fatto una birra speciale con la cover di ‘Mixtape Season’ che era appena uscito. 
È stata una bella serata, per noi molto emozionante, in cui abbiamo celebrato il Dium e in cui hanno suonato anche i nostri amici dell’Helluminati Klan e i fioi di Padova come Kevin Mopao.

LEGGI L’INTERVISTA COMPLETA A NEX CASSEL E DJ CRAIM SU SALAD DAYS MAG #45 FUORI ORA!

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(Txt Diego Montorio x Salad Days Mag – All Rights Reserved; Pics Zonta)

Fucina è il nuovo skatepark indoor di Vicenza e non solo

May 22, 2024 |

Lo spazio, nato dall’idea di Niccolò Fabris e del team della scuola di skate “Stalefish“, sta diventando molto più che una piccola rivincita per tutti questi anni passati a subire i capricci del tempo.

Oltre al park, utilizzabile per free skate e corsi, la Fucina può ospitare concerti, jam, esposizioni e workshop. Un’isola di creatività che emerge dal contesto industriale.

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Gran parte dei materiali utilizzati sono pezzi riciclati, donati dai membri della scuola di skate e da amici. Tra i tantissimi volontari che hanno lavorato gratuitamente per mesi un ringraziamento speciale va a Raso, Matte, Ciro e Fede.

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Per tutte le info su orari freeskate e eventi seguite @fucinaskatepark.

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(Txt Niccolò Fabris; Pics Martino Campesato@tinocampe – All Rights Reserved)

Sulla Pelle Del Lupo: Raw Power + Call The Cops + Snowball + The Elders Club @ Palestra LUPo, Catania – recap

May 16, 2024 |

Attitudine: disposizione per una certa attività mentale o fisica, innata o dettata dall’ambiente. E’ di questo che parla quello qui riportato, di una spiccata “fucking attitude”, a cominciare dalle organizzazioni:

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Catania Hardcore, Tifone Crew e i tipi di Palestra LUPo che hanno voluto sul palco nella stessa serata i Raw Power e i Call The Cops coadiuvati dai locals veterani Snowball e dagli esordienti (ma rodati in sala prove) The Elders Club. Uno sforzo, una collaborazione affinché questa spina dorsale, per portare giù in Sicilia i gruppi a suonare, diventi più flessibile e più vogliosa.

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E poi i Raw Power, che dire: la loro punk attitudine è encomiabile, reale. Il tempo li scava ma la pelle è come quella del lupo (nel senso buono…). Più di 35 brani eseguiti in una combinazione di suoni unica e definibile: HARDCORE.

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I Call The Cops, band di diverse generazioni dopo i Raw Power eppure stessa voglia di affrontare le sfide, i luoghi, le persone. Deraglianti sul palco, un’indomita voglia di dare e di offrire al pubblico la rabbia, il malcontento ma anche punti di vista e stile di vita!

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Infine i locals Snowball, band trasversale che riversa sul palco la loro passione, la loro forza, tra crossover thrashcore e ossequi all’old school hardcore degli anni’90 e i The Elders Club, un (falso) club d’anziani che cerca di sfogarsi, vomitando grunge, folate garage punk e punture noise rock perché è questo che sono e che vogliono essere e non c’è di meglio che dimostrarlo proprio sul palco della LUPo. Il cerchio si chiude con chi sta sotto il palco tra giovanissimi, giovani e meno giovani; i visi, malgrado le diverse età, hanno la stessa espressione, la stessa voglia e la stessa attitudine.

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C’è stato modo di parlare con i Raw Power nella figura di Mauro Codeluppi e con i Call The Cops nella figura di Marconcio: tre domande a testa che esaltano ancora una volta un modo di essere, una propensione al fottere il tempo, a modellarlo piuttosto che farsi modellare:

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Mauro Codeluppi X Raw Power:

SD: L’ultra quarantennale storia dei Raw Power vi ha visti calcare i palchi dei grandi festival fino a quelli dei piccoli club in giro per il mondo. Questa sera qui, nella venue ormai storica di palestra LUPo di Catania, quali sensazioni ancora si percepiscono e qual è il vostro approccio segreto che continua a farvi andare avanti nella vostra magnifica punk attittude?
RP: Le nostre motivazioni per andare avanti sono sempre le stesse da quando abbiamo iniziato a suonare 40 anni fa. È prima di tutto la passione per questo genere di musica: per noi l’HardCore / Punk rimane sempre il genere più bello, divertente ed energico che ci sia e da sempre la nostra “missione “è quella di trasmettere ai presenti la nostra energia, la gioia di essere lì divertendoci e facendo divertire, (si spera!) far star bene la gente che viene ai concerti nostri come di altre bands. Il concerto alla LUPO poi sarà speciale perché non ci siamo mai stati ed è un po’ che manchiamo dalla Sicilia, troppo. Ci impegneremo ancora di più perché risulti una serata speciale.

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SD: Ci sono momenti storici ed epici e momenti in cui invece tutto sembra che le cose siano ormai al capolinea, come si muovo dentro il tempo i Raw Power e come si sono evoluti?
RP: Come sai negli anni la formazione all’interno della band è cambiata, per vari motivi, ma quello che è rimasto sempre con tutti i membri della band, vecchi e nuovi, è stata la motivazione, l’attitudine, quella non è mai cambiata e mai cambierà. Poi, è chiaro che le cose cambino, il mondo cambia, purtroppo mai per il meglio, ma ognuno di noi dovrebbe fare la sua parte per cercare di renderlo migliore e ognuno lo fa a modo proprio, con quello che sa fare meglio.

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SD: Ogni volta le band dicono che l’ultima fatica realizzata sia la migliore, in realtà è veramente così? Quali sono i tre migliori album dei Raw Power?
RP: Non credo. Magari per qualcuno è così, ma la vedo dura, penso che le cose migliori musicalmente parlando, almeno in questo genere, siano le prime: ‘Screams From The Gutter’, ‘After Your Brain’, ‘Mine To Kill’.

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Marconcio x Call The Cops

SD: La musica e i testi dei CTC sono espliciti e chiari, diretti e dagli argomenti attuali. Quanto sono importanti per voi la musica e quanto i testi?
CTC: Lo sai che non è una domanda facile per niente, alla fine? Secondo me il fatto è che anche la componente musicale è almeno in parte oggettivabile, a livello evocativo ed emotivo. Non riesco a non pensare che il black metal è pressoché nazional-popolare in una nazione con lo stato sociale tra i più avanzati del pianeta, uno dei pochi che è riuscito a godersi i propri giacimenti petroliferi senza essere sterminato dagli americani, mentre in Brasile nelle favelas verosimilmente ascoltano musica leggera ritmata che parla di quanto è bella la vita. Sarà che ad avere troppi pochi problemi si finisce per inventarseli, sarà il clima e l’esposizione al sole, sarà che a mangiare sempre merda confezionata si finisce depressi, boh, però una componente oggettivabile ce la vedo, ecco. La nostra non è oggettivamente orecchiabile, non siamo di certo la band di cui consumerei il disco in macchina, però è quella musica che suona come volersi accollare il dolore della sofferenza del non cedere al tepore della mediocrità generalizzata, del non pensare che siccome “così fan tutte” allora è necessariamente accettabile. E l’attaccamento alla band non triggera tanto dal disco, ma spesso dal vivo, o quantomeno quando capti qualcosa che dà una dimensione ulteriore, che declina quella sonorità da macelleria, a una qualche attitudine o analisi della realtà, quindi il live, un videoclip, un testo. Io rispondo a titolo personale, e ho scritto gran parte dei testi. Farei di tutto perché la gente li leggesse, visto che dal vivo non si capisce una “fava”. Fare video musicali con i sottotitoli, fare i testi del disco in formato albo a fumetti, introdurli sommariamente ai concerti e, tendenzialmente, lo facciamo. Ripeto non è che sia indispensabile conoscerne molti, però spulciarne un paio dà una dimensione di profondità ulteriore a quel putiferio che è la musica. Credo che i miei feedback preferiti dell’universo sono quelli della gente che commenta i testi su YouTube, insieme a quelli che ci dicono “il vostro genere mi fa cagare, ma dal vivo spaccate”. Tornando alla musica, e giuro che poi taccio, penso che chiunque affezionato alla musica con così tanto investimento passionale, sappia benissimo che è una indispensabile àncora di sanità mentale in un mondo di persone insensibili o, quantomeno, veramente scortesi e bugiarde.

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SD: Siete una band che viene incanalata nel filone anarco-punk, sul palco la musica sfreccia tra deraglianti sezioni d-beat e disorder punk anni’80 inglese. I vostri live sono delle vere e proprie schegge impazzite, lasciano sempre il segno. Insomma, siete belli carichi. Ma come si vive invece il classico “da lunedì a venerdì”?
CTC: Non veniamo incanalati nel filone anarcopunk, questa è un’osservazione di una persona intelligente e “studiata” in materia, non è però la norma. Al netto del fatto che a nessuno piace definire il genere della propria band, direi che siamo proiettati nell’immaginario californiano/algoritmo di Spotify come una band streetpunk americana, nell’immaginario Portland/Seattle come una band d-beat anarcoide, nell’immaginario europeo come una band chaos punk, nell’immaginario italiano come una band un po’ fighetta un po’ politicizzata. Se vuoi la mia altrettanto inutile opinione, siamo tecnicamente una band hardcore, che ha degli ampli da metallari e ha consumato i dischi degli Aus-Rotten e Chaos UK, almeno questo l’innesco iniziale ecco. Poi, che ne so, nel disco nuovo c’è un pezzo rap/crossover. Il lunedì – venerdì non me lo vivo tanto bene, anche perché spesso deraglia nel sabato – domenica e personalmente sono psicologicamente danneggiato dalle responsabilità e dal denaro. Mi piace pensare che sia il prezzo da pagare per essere abbastanza flessibili per sostenere quell’esborso di tempo ed energie che è la band, pur essendo nati poveri in quattro su quattro. È veramente uno sport estremo in Italia, ma questo non lo devo certo spiegare al lettore italiano. Spero di poter dire che stiamo, lavorativamente parlando, cercando di fare un po’ fronte comune e prenderci cura gli uni degli altri anche in questo senso. Ma non vedo proprio come potrebbe non essere così, date le circostanze. La maggior parte della gente che abbiamo intorno perderebbe il lavoro al primo tour.

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SD: Parliamo di ‘Manifesto (For The Rebirth Of The Worldwide Punk Scene)’ vostro ultimo lavoro ormai uscito due anni fa, come è stato accolto (molto belle e interessanti le sperimentazioni con il rap old school e la vena melodica ispirata…) e dove vi ha portato rispetto a prima? Cosa avete pronto invece per il futuro imminente?
CTC: Boh non lo so. Quello, più che un disco, è una raccolta di tutto il materiale inedito in una fase di transizione della band. Non è neanche veramente ancora uscito, in un certo senso. Cacceremo fuori i pezzi con vari video e su Spotify nei prossimi mesi, oppure se uno ha fretta può comprarsi il vinile, ecco. Non so di preciso dove stiamo andando, non ci siamo dati dei paletti di genere musicale, quello che sono certo è che voglio che la nostra musica sia qualcosa come se subissi un pestaggio dagli altoparlanti, e quando ti rialzi tutto gonfio, hai degli strumenti migliori di analisi della realtà.

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Mini interviste finite. Ultima cosa, un flash, un accenno sui miei scatti solo per definirli nudi e crudi con quell’attitudine unica che spero si percepisca attraverso la band, la location e le facce dei presenti.

(Txt & Pics Giuseppe Picciotto x Salad Days Mag – All Rights Reserved)