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Salad Days Magazine | December 22, 2024

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American Head Charge ‘Shoot’

American Head Charge ‘Shoot’
Salad Days

Review Overview

4.5
4.5
4.5

Rating

AMERICAN HEAD CHARGE
‘Shoot’-EP
(Self)
4.5/10


Gli American Head Charge sono ancora vivi? Ve li ricordate? La band di Minneapolis che riuscì ad inserirsi nella scena nu metal grazie ad un unico vero successo (‘Just So You Know’, 2001) in cui il mix con lo stile industrial sembrò riuscire e conquistare, stabilendo anche un record: rendere godibile un pezzo di sei minuti che non cambia mai ritmo. Proprio loro; si saranno evoluti? E in che direzione, dopo ben sette anni di silenzio? Il primo impatto è necessariamente con la cover di ‘Shoot’, realizzata probabilmente con Paintbrush di Windows ’98… Da sentirsi un po’ presi in giro, ma non è il caso di fermarsi alle apparenze, quanto di premere play. Il brano di apertura (‘Writhe’) rimanda ai Nine Inch Nails, ma in crisi di buon gusto in fatto di suoni, e si procede in questo come nei brani successivi in modo scontato seguendo l’irritante e antico schema strofa-ritornello-strofa-ritornello-variazione-ritornello, in cui persistono suoni vecchi e vuoti, ritmiche lente e ripetitive. La voce di Cameron Heacock, che ricorda fin troppo quelle di Marilyn Manson e Jonathan Davis, tenta di ammaliare con qualcosa di melodico e orecchiabile, ma in realtà non c’è niente che incida. La fantasia scarseggia, ‘Sand’ sembra la copia di un qualsiasi pezzo dei Korn d’inizio decadenza. La sorpresa arriva nel finale con ‘Rock And Roll Nigger’, che, come si intuisce dal titolo, è una canzone assolutamente fuori tema col resto dell’EP e con lo stile del gruppo, che nel caso si può paragonare ai White Zombie di fine anni ’90. Per lo meno si scorge un minimo di energia, ma gli AHC sembrano proprio il vecchio zio che maldestramente tenta di apparire figo agli occhi del nipote, uno zio “supergiovane” che si esalta facendo notare com’era bella la musica ai suoi tempi, mentre il ragazzino lo asseconda e un attimo dopo si volta dall’altra parte, con l’IPod nelle orecchie. Sette anni di tempo per sei musicisti per comporre questi cinque pezzi… La naturale conseguenza è più o meno un quattro in pagella.
(Francesco Banci)

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