Cursus ‘Cursus’
Review Overview
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8CURSUS
‘Cursus’-CD
(Artificial Head)
8/10
I Cursus nascono nel 2012. Sono in due, CJ Duron, chitarra e voce e Sarah Roorkfirst, batteria. Vengono da San Antonio, Texas, la terra dello sludge; la terra dove ogni suono prende forma infernale. Dal blues al punk, dall’hardcore al metal. L’America del Sud è il centro nevralgico di suoni rituali, figli di terre sconfinate e abbandonate. Così nasce il sound dei Cursus, che debuttano con l’album omonimo dopo aver pubblicato nel 2013 la prima demo. ‘Her Wings Covered The Sky’ è il brano di apertura. Ritmi tribali, rituali ed ossessivi, accompagnano chitarre pesanti dai riff celebrativi che fanno da sottofondo ad un lamento deviato e lento. Il tutto si trasforma in un’ipnosi onirica. Un incubo ad occhi aperti. Già dal primo brano è possibile intuire come i Cursus si divincolano dallo stereotipo metal. Il suono che offrono è figlio di matrici differenti, dallo sludge alla psichedelia, dal ritual drone atmosferico al doom più classico. Continua l’album con ‘Waters Of Wrath’, un brano che ha in se archetipi black metal dalle chitarre rallentate. I ritmi continuano ad essere intrisi di magnetismo sacrale. Ma per i Cursus i suoni funebri non bastano. Si aggiungono così sfumature psichedeliche, tipiche dello space rock, come a voler chiamare entità da altri universi. Il disco va avanti e la forma stilistica della band si sviluppa sempre di più attorno ad un dualismo tra trascendenza ed immanenza. Potenza ed ipnotismo. Ritmi lenti e rituali alternati a cavalcate che richiamano uno stoner fatto di sola ombra. Non c’è luce nel deserto. Come nel brano ‘The Guardian’. Le linee vocali restano marce e distorte. Non appena il tutto sembra aver preso una forma tipicamente metal, i Cursus tornano ad incantare con suoni celebrativi grazie alla ipnotica ed oscura cover di ‘Set The Controls For The Heart of The Sun’ dei Pink Floyd. La luce e l’oscurità si compenetrano costantemente, passando da suoni d’oltretomba e voci demoniache a cori eterei e chitarre psichedeliche, come nel brano ‘Trail Of Tears’. Il disco dei Cursus sembra essere una cerimonia religiosa fatta di lamenti ed invocazioni. L’ultimo brano dell’album ‘The Empire Will Fall’ è la perfetta chiusura di un rituale: atmosfere eteree ed infernali. Quattro minuti di soli droni in cui sembra di essere circondati da una nebbia così fitta da impedire di guardarsi i palmi delle mani. Un’ode alla distruzione, che a suo modo è un inno alla vita. Un album sintesi di opposti supremi: il bene ed il male, la luce e l’oscurità. I Cursus debuttano con un disco che ti intrappola con un’ipnosi all’interno di una realtà parallela. Quella realtà dove la logica allenta la sua morsa ed il buio ci parla dell’ignoto.
(Valentina Vagnoni)
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