‘Nessuna Regola’ – Lele Lutteri interview
In occasione dell’uscita per Alcatraz (possiamo considerarla la costola “sportiva” di Tsunami?) di ‘Nessuna Regola’ (sottotitolo: 40 anni di skateboard in Italia)…
non ci lasciamo scappare per le due “chiacchiere di rito” Lele Lutteri, il matto (in senso positivo, ovvio) che ha messo in piedi e realizzato questo progetto!
SD: Iniziamo con il botto. Qualche domanda di carattere “generale”. Uno. COSA TE L’HA FATTO FARE? Mi spiego. Un libro su una nicchia… che in Italia è ancora più nicchia… con l’aggravante che siamo sì in un momento (forse) buono per lo skate (vedi olimpiadi) … MA NON per la CARTA… ripeto: COSA TE L’HA FATTO FARE?
LL: Ahahah, bella domanda! Che poi è la stessa che mi sono posto anche io appena firmato il contratto! A parte gli scherzi, ti racconto come è andata: nell’estate del 2020 i ragazzi di Agenzia Alcatraz (la casa editrice costola di Tsunami Edizioni per cui è uscito il libro) mi hanno contattato dopo aver letto una mia intervista uscita poco prima in cui parlavo del mio lavoro, del post pandemia (ai tempi tra le altre cose ero socio di Rock Burger un diner di Milano) e di come da qualche tempo stessi affiancando la scrittura al mio lavoro di designer e grafico. Ci conoscevamo già, è bastata una telefonata e ci siamo trovati qualche giorno dopo in redazione da loro, che tra l’altro è a due passi dal mio studio! Mi proposero il progetto, anche e soprattutto in considerazione del fatto che io lavorassi da anni come designer nel campo dello skate, prima con un mio marchio, poi per diversi anni per il marchio milanese Bastard e, dal 2010, come freelance per diversi brand. La sfida era di quelle grandi: come dici tu parliamo comunque di una realtà di nicchia, spesso (e a ragion veduta) refrattaria a raccontare e raccontarsi al di fuori della propria rete ed è verissimo che libri, riviste e carta stampata in generale stanno attraversando un momento storico non facile. Ma il mio lavoro è fatto di stimoli, di progetti coinvolgenti e ambiziosi: in fondo non esisteva qualcosa come il libro che avrei dovuto scrivere, e l’idea di provare a mettere assieme i pezzi della storia dello skateboard nel nostro paese era decisamente “ghiotta”, motivo per cui decisi di accettare.
SD: Due. SEI CONTENTO? Di come è venuto. Di come l’hai fatto. E poi… di come sta andando…
LL: Ammetto che sono molto contento e soddisfatto del risultato finale e di come questo lavoro sia stato accolto. L’ufficio stampa della casa editrice ha fatto poi un ottimo lavoro di promozione e marketing e le presentazioni del libro nelle varie città che abbiamo visitato sino ad ora sono sempre state un bel momento di condivisione di pensieri ed opinioni. Diciamo che l’idea di raccontare la “storia dello skateboard in Italia” era ambiziosa, ma quasi impossibile, considerando che parliamo di un fenomeno che mai prima di ora era stato raccontato e descritto in maniera “cronologica” o “didascalica”; quindi, il rischio di risultare lacunosi o imprecisi era altissimo. Motivo per cui ho deciso di dare un taglio leggermente diverso a questo libro, evitando la “superbia” di pretendere di scrivere la storia, ma limitandomi, si fa per dire, a raccogliere tante testimonianze e tanti spunti di riflessione di chi ha vissuto in prima persona tutto ciò che, messo assieme e affiancato al mio lavoro di analisi e narrazione, ritengo abbiano restituito in maniera abbastanza reale e veritiera quello che è successo nel nostro paese a proposito di skateboard
negli ultimi quarant’anni.
SD: Tre. Per chi è scritto? Per gli skaters? o per i NON skaters?
LL: ‘Nessuna Regola’ è scritto, o quanto meno questo è stato il mio intento, per chi è o è stato skater, ma anche per chi è sempre stato incuriosito e attratto dallo skate e da tutto quello che gli ruota attorno. Non è un libro “tecnico”, principalmente perché io, che a malapena chiudevo un ollie quando andava bene, non sarei stato in grado di farlo e sarebbe stato stupido e presuntuoso provare a parlare di tecnicismi a chi magari ne sa molto più di me sotto quell’aspetto. Ho scelto di non dilungarmi troppo nelle tematiche più da fruitore, soprattutto nei capitoli in cui parlo dei materiali e delle migliorie arrivate con gli anni, degli shape delle tavole e della evoluzione dei tricks perché ritengo che tutto quello che invece è legato alla socialità della tavola, all’arte di arrangiarsi e ricavarsi i propri spazi, alle contaminazioni e all’apporto che lo skate ha scambiato con il costume, la musica, l’arte e un sacco di altre discipline fossero argomenti e spunti di riflessione interessanti anche per chi, magari, non si è neanche mai dato una spinta con una tavola sotto ai piedi.
SD: Continuerei con qualche domanda dal punto di vista dello “scrittore”. Per capire e far capire come funziona il rapporto con una casa editrice. Me lo accennavi prima, ma vale la pena qualche parola in più: come hai convinto Alcatraz / Tsunami?
LL: Come ti dicevo prima sono stati loro a cercarmi. Hanno avuto l’intuizione giusta (non nell’aver chiesto a me, ma nel pensare che mancasse sul mercato un prodotto del genere) e soprattutto la professionalità e i mezzi per seguire e spingere il progetto nella maniera migliore. In fondo dai, un paio di libri li hanno pubblicati no?
Max Bonassi
SD: Quanto tempo dall’idea alla stampa. E cosa è stato più difficile/lungo? Scriverlo? Raccogliere il materiale d’archivio? Intervistare i vari “ospiti”? A proposito del materiale di archivio… tanta bella roba, compliments. Sei un “collezionista” seriale (come io coi dischi)?
LL: “Quanto tempo dall’idea alla stampa?” Ho perso il conto ahahaha! Dunque, come ti accennavo, ci siamo sentiti nell’estate del 2020 e, tra una cosa e l’altra il libro è uscito nell’ottobre del 2023. Onestamente il lavoro l’avevo finito parecchio prima, diciamo che ero pronto per la fine del 2022, ma, una volta finita la mia parte, correzioni e revisioni comprese, è comunque dovuto arrivare il momento giusto per incastrare l’uscita del libro nel calendario dell’editore, che ti assicuro, è sempre super fitto! Sinceramente non saprei dirti quale sia stata la parte più difficile. Scrivere mi viene abbastanza naturale, ma ho bisogno di isolarmi da tutto e da tutti; tutta la mia attenzione si concentra lì quando scrivo, al contrario di quando disegno dove spesso mi distraggo, tengo la musica alta, guardo i social etc. Diciamo che la parte più difficile e impegnativa è stata forse quella di sentire tutti contributors (skaters, produttori, musicisti, fotografi etc.) e mettere nero su bianco la loro storia: non tanto per l’operazione in sé (ci sentivamo per telefono, ci facevamo una bella chiacchierata che io registravo e poi sbobinavo), ma per la responsabilità che mi sentivo addosso. Un sacco di gente ha deciso di affidarmi la propria storia, le proprie foto, i ricordi di una vita e le proprie opinioni, e da subito ho considerato questo aspetto un privilegio ed una grossa responsabilità. In diverse occasioni ho dichiarato che questo libro non sarebbe stato possibile senza il contributo di tutte quelle persone che si sono prestate alle mie domande. Per quanto riguarda quindi il materiale fotografico presente nel libro, gran parte degli scatti mi è stato donato direttamente dai contributors, tranne una piccola parte di scatti miei, come quello di copertina ad esempio. Per quanto riguarda il collezionismo in sé invece, si apre un mondo a parte: sono un collezionista al limite del patologico: colleziono, ovviamente, vecchie tavole da skate, chitarre, biciclette, vinili, action figures di super eroi… ho casa e studio zeppo di roba, e mia moglie è disperata ahahaha!
SD: L’idea dell’intervista/corale/storia è (per me) sempre vincente. L’avevi pensato così fin dall’inizio?
LL: L’idea di affiancare la mia narrazione all’intervento di chi “la storia dello skate l’ha fatta” è stata la prima cosa che ho voluto specificare con i ragazzi di Agenzia Alcatraz. Della serie: “ok, io posso parlare a grandi linee di quello che è successo, dell’aspetto legato al mercato, al sociale e alle mode e di tutto quello che ho vissuto ed osservato da professionista e da amatore negli anni. Ma la storia l’hanno fatta altri, ed è fondamentale che siano loro a dire come è andata”. La mia fortuna è di avere conosciuto e di aver lavorato nel corso degli anni con persone splendide, pilastri e pionieri dello skateboard, motivo per cui mi è venuto naturale pensare subito a loro. In questo modo non solo ho provato a trasmettere con voce diretta quello che è successo, la strada percorsa per arrivare a quello che lo skate è oggi nel nostro paese, ma ho cercato di mantenere una “pluralità”, fatta a volte anche di opinioni contrastanti, ma che provasse a rendere nella maniera più corale possibile la storia che stavo raccontando.
Ale Mazzara + Daniele Galli courtesy picture by Piero Capannini
SD: L’idea di dividerlo per temi, pure, è (per me) spesso vincente. Stessa domanda di cui sopra…
LL: La divisione per temi ad un certo punto è diventata quasi un’esigenza per continuare il libro in maniera coerente con quello che mi ero prefissato di fare. La narrazione, infatti, segue un ordine temporale fino a quando lo skateboard ha seguito un susseguirsi di ondate di popolarità alternate a periodi di oblio totale o quasi, diciamo dalla fine degli anni settanta fino al duemila circa. Successivamente, con il consolidamento del fenomeno non aveva più senso seguire una narrazione di questo tipo, ma valeva la pena iniziare ad analizzare tutte le tematiche in cui lo skateboard ha cominciato a dire la sua in maniera importante: dalla commercializzazione del mainstream a tutte quelle forme di mestieri e arti a cui lo skateboard si è affiancato dando il proprio contributo e lasciandosi contaminare.
SD: Considerazioni varie. Uno dei motivi per cui io non scriverò mai un libro? Necessariamente finisci per dimenticare qualcuno o qualcosa. Mi spiego. Se parlo di HC, parlo di HC milanese… piuttosto che della TubeRecords (nome a caso) perché li conosco bene. Insomma… ci sono degli ovvi motivi di vicinanza/confidenza/simpatia che fanno di queste storie delle “storie parziali”. Mi chiedevo se ci hai pensato… e/o cosa ne pensi?
LL: Hai toccato un tema molto importante: inevitabilmente, soprattutto se si è tra i primi a provare a proporre un lavoro del genere, la mancanza di fonti porta necessariamente ad eccedere in quello che si conosce meglio e a tralasciare, non per intenzione, ma appunto per mancanza di esperienza diretta, tutto quello che invece si conosce poco. Già dalla scelta delle persone da sentire ho cercato di distribuire le testimonianze lungo tutto lo stivale, ma inevitabilmente i miei contatti erano molto più concentrati nel Nord Italia. Ho escluso a malincuore delle persone che avrei voluto sentire semplicemente perché diversamente l’asticella avrebbe virato molto di più verso una realtà troppo “locale”. Sono cosciente di aver tralasciato qualche nome, qualche spot, qualche contest sicuramente importanti e degni di essere riportati secondo il parere di qualcuno; ho chiuso il libro sottolineando questo aspetto, ma dicendo anche che in fondo questo poteva essere solo l’inizio: lo spunto perché poi ognuno provasse ad approfondire tramite le proprie conoscenze o tramite il web quello che più gli è piaciuto del libro. Lo skate è sfuggente per natura, e in fondo è il suo bello: pensare di inserire in un solo libro tutto quello che è successo è pura utopia a mio parere.
Suicidal Tendencies alla bastard bowl
SD: in questo cammino, c’è qualche episodio, qualche persona, o qualche momento che ti ha fatto dire: “WOW, che bomba!” Parlo di un incontro, piuttosto che di un momento…
LL: Ci sono stati diversi “Wow”. I primi li ho esclamati ascoltando alcune storie ed aneddoti raccontati dalle persone intervistate: brevi estratti di vita che ti fanno capire prima di tutto come i percorsi siano spesso comuni, anche al mio, in fondo. Strade fatte con la passione, l’amore per lo skate, la musica, le autoproduzioni… poi vabbè, il “Wow” forse più scontato è stato quando sono arrivate le prime copie del libro, quando mi è capitato di vederlo impilato in librerie come LaFeltrinelli o Mondadori. E poi i “Wow” forse più belli, quando mi succede ai firmacopie di scambiare quattro chiacchere con ragazzini giovanissimi, ma curiosi e preparati. Penso, e non solo io, che sia molto importante che chi si avvicina allo skateboard oggi debba sapere che non esiste solo Instagram per immortalare i propri trick e cercarsi uno sponsor, ma che prima di tutto questo c’è stata gente che si è fatta un culo quadrato per far sì che oggi esistano skatepark, skate shop e scuole dove poter imparare ad andare sulla tavola. Esiste una storia, una vera e propria cultura legata allo skateboard e se un ragazzino ne viene a conoscenza anche grazie al mio libro, beh… super Wow!
SD: Last… but not least… OLIMPIADI YES o OLIMPIADI NO?? ovvia domanda!
LL: La domanda delle domande! Si potrebbe anche dire “skateboarding is not a crime” o “keep skateboarding a crime”? Ho parlato con diverse persone di questo argomento nel libro e mi trovo perfettamente d’accordo con chi è del parere che ad oggi lo skate è, volente o nolente, anche “Olimpiadi”. Fa parte della pluralità raggiunta dalla tavola: pluralità che ti permette di avere molti più skatepark, prodotti “entry level” che aiutano un genitore ad assecondare i desideri di un figlio che vuole provare ad andare in skate etc. L’importante è che tutto quello che riguarda lo skateboard resti nelle mani di chi fa skateboard, altrimenti è un disastro (vedi ad esempio le vecchie Federazioni o park progettati da “profani” e costruiti con transizioni inutilizzabili).
SD: Legata a questo… una sottocultura o uno “sport” che fa della libertà e dello stile… piuttosto che delle dinamiche quasi da ultras (“only locals” nel surf, per intenderci) non pensi che muoia nel momento in cui diventa una competizione, con delle regole, dei tempi, delle successioni che DEVI fare? Io sono valtellinese… e mi piace fare freeride (parlo di snowboard e di fresca). Quando guardo le gare di freeride mi viene una tristezza…
LL: Di sicuro lo skateboarding della mia generazione è diverso dallo skateboarding che può esserci oggi. I nostri genitori ci urlavano in continuazione di “smetterla di andare in giro con quel affare con le rotelle”, i genitori di oggi (i miei coetanei) invece iscrivono i propri figli alle scuole skate. Mi sarebbe piaciuto lo skate se mia mamma mi avesse detto: “Guarda, c’è una scuola skate, vuoi andare?”. Molto probabilmente no, lo ammetto, ma perché per la nostra generazione lo skate era ribellione, rottura. Mi sarebbe piaciuto provare a chiudere i trick pensando “questo è da 6 scarso, o questo era da 10”? Per nulla, motivo per cui non ne ho mai voluto sapere di giocare a pallone nelle scuole calcio o di provare a fare uno sport in cui un qualsiasi metro di giudizio ne influenzasse la performance. Però ripeto, è la mia esperienza, la mia attitudine e il mio modo di pormi nei confronti delle cose. Il bello è che al giorno d’oggi puoi continuare a vivere lo skateboard in questo modo, ritrovandoti con gli amici, bevendoti una birretta tra un trick e l’altro oppure puoi provare a diventare la prossima medaglia d’oro. Le strutture, le possibilità e le occasioni ci sono, sta a ognuno la scelta di come viverle lo skate, e soprattutto una cosa non esclude l’altra. Vado in snowboard un po’ meglio di come vado in skate, ma in tanti anni di montagna non mi è mai venuta voglia di provare a iscrivermi ad un contest, mi piace girare, provare qualche trick e divertirmi con gli amici. Ricordo forse con più affetto le levatacce dopo una serata in giro o i panini nella stagnola infilati nelle tasche della giacca per risparmiare piuttosto che la volta che ho chiuso meglio un trick. Per quanto mi riguarda lo spirito è questo: puro divertimento, che poi è puro Rock‘n’Roll!
SD: Quoto: “per quanto mi riguarda lo spirito è questo: puro divertimento, che poi è puro Rock‘n’Roll!”
(Intervista di Francesco Mazza x Salad Days Mag – All Rights Reserved)
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