PUNK ROCK HOLIDAY 2.3 @ TOLMIN, SLOVENIA – RECAP
Il Punk Rock Holiday è uno di quei festival estivi che ha saputo costruirsi lo status di culto in anni, merito anche di un senso di comunità che lo porta ogni anno ad essere sold out ancora prima che ci sia una line up fuori.
Ma anche della location, il piccolo paesino di Tolmin in Slovenia, con concerti e campeggi immersi nel bosco che dà sul fiume Soča (il nostro Isonzo), circondati da colline e montagne, un aspetto che colpisce positivamente anche tutti i gruppi che ci suonano. Un festival pure baciato dalla fortuna, perlomeno quest anno, visto che è stato uno dei pochi a salvarsi dalle alluvioni che hanno purtroppo colpito la Slovenia, segno che il Punk Rock Holiday s’ha da fare e manco il maltempo può fermarlo. Per il sottoscritto sono stati 6 giorni di presenza, 5 di musica e notti semi insonni a causa di tedeschi urlanti in campeggio. Ma andiamo con ordine.
WARM UP SHOW
Il giorno 0, la giornata non ufficiale, ovvero il concerto per chi è già li che campeggia o arriva prima. Aprono la giornata i tedeschi Heathcliff a cui spetta il compito di aprire le danze. Il loro skatepunk fortemente debitore di quello anni 90 con spruzzate metal piace e fa muovere i già numerosi presenti assetati di concerti. Seguono i polacchi CF98, non dei novellini del festival, freschi di album su Sbam!. Voce femminile e punk rock melodico, non si può sbagliare, promossi pure loro. Dopo di loro è il momento di un altro gruppo “storico” del PRH, ovvero i tedeschi Straightline. Il loro ibrido di skatepunk e crossover thrash alza l’asticella con accelerazioni e melodie assassine, sempre un piacere rivederli dal vivo. Seguono i Booze & Glory con il loro street punk dalle venature oi! che coinvolgono appieno un pubblico che si sta già scaldando alla grande. Gli Authority Zero invece rubano definitivamente lo scettro agli Anti Flag di gruppo che ha suonato più volte al festival, sono praticamente il gruppo di casa. E c’è un motivo per cui vengono chiamati in continuazione: sono un gruppo che da tutto sul palco e lo sa tenere a meraviglia. Metteteci anche il fatto che il loro punk rock melodico è di pregevolissima fattura e avrete la chiusura del cerchio. Arriva anche il turno dei veterani Dog Eat Dog, chiamati in fretta e furia a sostituire i H2O che hanno dovuto cancellare il tour per problemi di salute di Rusty Pistachio. Gli americani incarnano e rappresentano lo spirito di certa musica degli anni 90, cosa che trasuda nei loro classiconi che fanno saltare tutti i presenti. Forse un po’ meno decisi sui pezzi nuovi, ma tutto sommato una buona esibizione. A chiudere la serata un altro pezzo da novanta, ovvero gli svedesi Satanic Surfers. Da quando Rodrigo è tornato fisso dietro le pelli i concerti del gruppo sono diventati una goduria, con il quartetto che pesca a piene mani dalla loro discografia, dall’ultimo ‘Back From Hell’ fino agli esordi di ‘Skate To Hell’. Magari qualche classico in più sarebbe stato gradito, ma chi sono io per lamentarmi? In fondo rimangono uno dei miei gruppi preferiti e mi godo ogni loro concerto che posso permettermi. Si chiude così la prima sera, non prima di cadere sotto le urla belluine dei tedeschi in campeggio e della loro techno teutonica. Domani sarà un giorno migliore.
DAY 1
Il primo giorno ufficiale del PRH segna anche l’esordio dei concerti in Beach Stage. Un esordio malinconico visto il divieto di balneazione nel fiume dovuto a fanghiglia e forti correnti, che ha privato di qualche giorno il colore di bagnanti e gonfiabili vari. Ammetto di aver snobbato un po’ il beach stage quest’anno, un po’ per impegni in zona press e un po’ per mancanza di dono dell’ubiquità, quindi mi scuso con tutti quei gruppi che avrebbero meritato un po’ di esposizione. Non del tutto una tragedia perché se andate sulla pagina ufficiale del PRH troverete i video delle dirette di ogni esibizione di ogni gruppo. Non male eh? Degne di nota le esibizioni dei tedeschi Melonball (nome scelto in onore del drink ufficiale del festival), skate punk con voce femminile, le quattro sorelle inglesi delle Maid Of Ace con il loro punk rock grintoso e ruvido, e i Urethane dello skater Steve Caballero, con il loro OC punk di chiara matrice californiana. Salendo in zona main stage iniziano anche i set acustici presso lo stand della American Socks. Mike Rivkees dei The Rumjacks prima e soprattutto Nad Savarino dei Wasei ci deliziano con due ottimi piccoli set. Non male considerando che Nad ha avuto il compito improvviso di riempire lo slot lasciato vacante dal ritardo dei The Slackers. Un po’ di orgoglio nostrano non guasta mai. Ad aprire le danze sul main stage ci sono i Buster Shuffle. Il quartetto londinese aveva già suonato qualche anno fa al festival, ma per la prima volta mi hanno fatto drizzare le orecchie. Ska 2Tone rinfrescato e suonato in maniera energica, con quel forte accento inglese che mi manda sempre fuori di testa. The Rumjacks li ho saltati per rifocillarmi in tranquillità, ma avendoli visti in chiave acustica mi sento meno in colpa hahahah. Altro gruppo che attendevo con trepidazione sono i newyorkesi The Slackers, gruppo ingiustamente forzato nella terza ondata ska degli anni 90 ma che ha saputo costruirsi un proprio sound e fama grazie anche alle uscite su Hellcat Records. La loro miscela di ska/rocksteady/reggae/blues non sarà propriamente da festa e perfino moscia per alcuni, ma cavolo se lo fanno bene e con quella voce Vic Ruggiero può far quel che vuole. Si capisce che mi sono piaciuti? Seguono gli Agnostic Front con un’esibizione energica senza infamia e senza lode, almeno stavolta si sente la voce di Roger e sanno come tenere bene il palco. Troppe smetallarate per i miei gusti, ma mi accontento della foto fatta assieme a zio Stigma qualche ora prima. A chiudere la serata ci pensano i Dropkick Murphys, combo celtic punk di Boston. Un gruppo che ho smesso di ascoltare da anni ma che non ho mai avuto occasione di vedere dal vivo, quindi la situazione è ghiotta. A differenza di tutti i presenti che hanno ballato e pagato per tutto il set, la mia avversità verso il celtic punk e la mancanza di Al Barr alla voce hanno fatto si che me li godessi poco, se pur riconoscendo la grandezza del gruppo e la loro enorme presenza scenica. Le forze sono anche allo stremo, quindi per questa sera i tedeschi in campeggio non mi avranno.
DAY 2
Quarto giorno a Tolmino, terzo per quel che riguarda i concerti. Pian piano il corpo inizia ad adeguarsi alla vita da camping tra colazioni in città, chiacchierate con gli amici e un altro giorno pieno di gruppi in vista. Da segnalare sul Beach Stage i You Nervous? dal Belgio con il loro skatepunk melodico, stesso genere degli svedesi Rebuke per chiudere con il punk rock melodico dei veterani Antillectual dall’Olanda, freschissimi di nuovo album. Ad aprire le danze sul main stage ci pensano i californiani Scowl, uno dei gruppi più freschi e chiacchierati del momento. Una delle esibizioni che attendevo di più, visto che l’anno scorso ho avuto di vederli davanti ad una 70ina di persone al Vennster 99 a Vienna ed ero curioso di vedermeli all’opera su un palco grande. Un’attesa più che ripagata visto il set proposto dai quintetto: energico, graffiante, coinvolgente. Meritano tutto l’hype che ruota loro attorno e chi dice che sono solo un gruppo costruito per far successo non capisce proprio un cazzo. A seguire un altro gruppo che non vedevo l’ora di vedere, ovvero i Cigar dall’Oregon. Un gruppo che a fine anni 90 ha avuto un cult following con l’unico album fatto uscire su Theologian Records per poi scomparire e riaffiorare 20 e passa anni dopo con un disco su Fat Wreck Chords. Skate punk tiratissimo, melodico e tecnicissimo. Roba da rimanere a bocca aperta. Tempo di una tranquilla pausa cena per poi tornare sottopalco a seguire l’esibizione di Frank Turner assieme ai fidi The Sleeping Souls. Che dire? Un’esibizione da 10 lode per la scaletta proposta, l’energia, il carisma e la capacità di tenere il palco con la classe del veterano che è. Davvero un’esibizione favolosa e lui persona davvero simpatica e umile, tenete d’occhio questo sito che presto trascriverò l’intervista che ho fatto con lui. Il compito di chiudere la serata spetta ai Me First And The Gimme Gimmes e si sa che quando suonano loro il bordello è assicurato. Con il solo Spike Slawson della formazione originale, spiccano come turnisti John Reis (Rocket From The Crypt, Drive Like Jehu, Hot Snakes) e CJ Ramone. Il loro set è una festa dall’inizio alla fine, cover dopo cover a coinvolgere tutto il pubblico. Essendo la mia prima volta con loro mi sarei aspettato altre cover e tolto altre, ma chi sono io per lamentarmi? La serata poi si conclude tra il dj set punk rock al Hangar e quello più vario alla sala Tropicana, per poi muoversi lentamente verso il campeggio per tentare di dormire.
DAY 3
Terzo giorno ufficiale, il corpo regge bene, la mente entra in una leggera disconnessione spazio temporale. C’è tempo per riposare e ripigliarsi. Sulla carta il giovedì è probabilmente la giornata più skatepunk delle quattro e nonostante la fatica inizi a farsi sentire, ci sono forze abbastanza da andare giù al Beach Stage per una nuova carrellata di gruppi, tra cui spiccano gli skatepunkers Teresa Banks, stanziati in Finlandia ma che annoverano un italiano e uno spagnolo nel gruppo, The Venomous Pinks da Phoenix Arizona con il loro punk ibrido di TSOL/ Joan Jett/ Bikini Kill e a chiudere i californiani Versus The World, orfani del chitarrista Chris Flippin (Lagwagon) fermato qualche giorno prima a Stoccarda da un piccolo infarto e tenuto a riposo e sotto ossevazione. Un augurio di pronta guarigione a chi ha dato tanto alla comunità skatepunk. Il main stage oggi è una rassegna di vecchie di gruppi gloriosi. I primi a salire sul palco sono i Diesel Boy e per il sottoscritto è un tuffo al cuore visto che mai mi sarei aspettato di vederli in vita mia essendomeli persi nella loro golden era. Invece sono tornati con un nuovo album e in scaletta propongono anche i pezzi nuovi, ma sono le vecchie hit a scatenare i presenti sottopalco. Groppo in gola e via, chapeau. A seguire il gruppo che forse meno ti aspetteresti ad un festival simile, ovvero i Scream da Washington DC. Si proprio quei Scream ricordati più per la militanza di Dave Grohl nelle loro fila più che per gli album bellissimi usciti su Dischord. Certo non avranno la freschezza e la velocità degli anni migliori ma riescono comunque a coinvolgere un pubblico che non li ha propriamente nelle loro corde. E qui si vede la grandezza di una band. Dopo di loro è il turno delle Bad Cop Bad Cop e cazzo che gran concerto che han fatto: le quattro suonano davvero bene, melodie al posto giusto, setlist perfetta, gran coinvolgimento del pubblico, insomma tutto quello che ti aspetti da un concerto della madonna. Chapeau. I Good Riddance sono stati quelli che mi hanno convinto di meno in tutta la giornata. Ineccepibili a livello strumentale, la voce di Russ Rankin era un po’ sottotono e mi ha fatto storcere il naso. Ma le giornate no capitano a tutti e mi sono fatto la mia buona scorta di concerti del quartetto negli anni che non mi son perso niente. Invece i Pennywise, che avevo visto sottotono le ultime volte in concerto, a mio modesto parere hanno fatto un set della madonna. Belli compatti, i pezzi suonati con potenza, pubblico in delirio. Qualche mini cover dei Nofx, Minor Threat suonata assieme agli Scream e l’immancabile Bro Hymn che per quanto ormai stucchevole riesce ancora a prendere il cuore alla gente causando una nuova epica invasione di palco e coro che va avanti anche quando il gruppo lascia il palco. Un’altra giornata se n’è andata, after party evitati come la peste, i tedeschi in campeggio sono ormai in una dimensione a parte.
DAY 4
Ebbene si, siamo arrivati all’ultimo giorno. Fisico che sta per cedere, deprivazione del sonno, voglia di un letto vero. Non manca tanto, ci separa solo un’altra giornata di concerti. Ci si muove con calma, ci si riposa più del solito, poi una buonissima colazione giù in spiaggia in attesa dell’inizio dei concerti. Il beach stage regala pure oggi: i norvegesi Suicidal Ninja Monkeys con il loro punk rock che in certi punti ricorda certi Sum 41, i londinesi Jawless con il loro thrashcore e la cantante Teresa vera animale da palco, passando per i tedeschi Primetime Failure e il loro pop punk fino ad arrivare al gruppo che più aspettavo in questo festival, ovvero The Raging Nathans da Dayton, Ohio. E mi ritrovo così attaccato alle transenne a fare singalong sulle varie canzoni della scaletta, hit dopo hit e li ringrazio personalmente per aver fatto ‘The Lime Pit’ come canzone bis. Grandi musicisti e persone umilissime e alla mano. Voto 10 e lode. Ci spostiamo sul main stage dove aprono le danze gli sloveni Alo!Stari, punk rock anni 90 cantato nella loro lingua madre che non può far altro che trovare consensi nella rappresentanza slovena del festival. A seguire i leggendari Pigs Parlament, anche loro sloveni, ormai un’istituzione del PRH vista la loro presenza dal primo anno. La loro è una miscela energica di punk melodico, ska, hardcore e metal, super coinvolgenti e anche loro successo assicurato tra i presenti. Da loro amico non posso che esserne contento. Dopo di loro è il turno dei Jaya The Cat, uno dei gruppi più amati dal pubblico del PRH. Il loro ibrido di punk/ska/reggae/dancehall funziona alla grande e la gente risponde estasiata e a quanto pare la loro esibizione viene riconosciuta come la migliore di tutto il festival. Arriva il turno dei Pulley e per l’ennesima volta si ripropone il solito dilemma: come fanno ad essere così fighi su disco e a far live al limite della decenza? La voce di Scott è ormai andata e il resto della band cerca di salvare il salvabile, ma dopo qualche canzone cala l’attenzione e l’interesse. Meglio tenere le forze per l’ultimo gruppo della serata, ovvero gli inglesi Toy Dolls. Il trio capitanato da Olga fa un gran bel concerto, sono belli in forma, coinvolgono bene il pubblico, hanno buon tiro anche grazie a Duncan degli Snuff dietro le pelli che tiene il ritmo bello potente. La gente è presa davvero bene, a chi è venuto in giornata solo per vederseli scatta anche la lacrimuccia. Finiti i concerti c’è ancora l’ultimo passo da compiere, ovvero il rituale punk rock karaoke a opera dei Pigs Parlament dove mettono a disposizione una lista di canzoni che suoneranno e ognuno si iscrive per cantare la canzone che vuole. Quest’anno ho scelto ‘Dammit’ dei Blink-182, cantata a metà karaoke nella bolgia del hangar. Poi un’oretta su una sedia sdraio ad assaporarmi la tranquillità di chi sa che il festival è ufficialmente finito. Il corpo si rilassa, gli occhi osservano gli altri partecipanti ancora pieni di energie, la mente è divisa a metà tra l’idea di poter dormire su un letto il giorno seguente e quella di dover aspettare un anno per la prossima edizione. Non sarò più il ghepardo di una volta ma intanto un altro Punk Rock Holiday me lo sono messo in saccoccia. E va benissimo così.
(Txt Michael Simeon and Pictures Francesco Dose)
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